Il percorso iniziatico nella Villa Vigodarzere di Saonara
I Parte
di Paolo Galiano ©
“Per gentile concessione dell’autore e del Centro Studi Simmetria”
Un giardino chiuso sei, mia sorella, mia sposa,
un giardino chiuso ed una fonte sigillata.
Fontana di giardini, pozzo di acque vive…
Entri il mio Diletto nel suo giardino!
Cantico dei cantici, 4, 12 – 15 |
Di certo sembrerà strano accostare due argomenti così diversi fra di loro quali l’Ordine del Tempio e la complessa significazione del giardino, simbolo del Cosmo e del Paradiso, ma una breve digressione sulla relazione tra Templari e Massoneria potrà chiarire la connessione tra i due argomenti.
Nel 1737 il Cavaliere Ramsay introdusse per primo nella Massoneria, almeno in modo esplicito, il mito (nel senso tradizionale della parola) della discendenza dai Cavalieri Templari di un ramo massonico, quello di origine scozzese e giacobita, il quale si sarebbe originato dalla fusione di Logge Muratorie scozzesi con un gruppo di Templari rifugiatisi in Scozia al tempo della persecuzione di Filippo il Bello e di Clemente V. Da allora in poi a partire dal barone Karl Gottlieb von Hund (circa 1750) vi fu un proliferare di nuovi Ordini di proclamata derivazione Templare, alcuni dei quali si mantennero indipendenti mentre altri si inserirono nella Massoneria a vario titolo, sia come Riti sia come singoli gradi di altri Riti
Non è nelle nostre capacità sceverare quanto vi sia di vero o meno in questa proclamata discendenza dall’Ordine del Tempio per quanto concerne alcune Obbedienze massoniche: ciò che interessa è che tutto ciò contribuì ad una sempre maggiore diffusione del mito templare, mito che si concretò tra l’altro anche in alcuni giardini fatti costruire da committenti Massoni in particolare nel Nord Italia per quello che qui ci interessa, giardini poco conosciuti e dei quali, per tale ragione, riteniamo interessante trattarne.
L’architetto Giuseppe Jappelli padovano (Fig. 1) fu il principale costruttore di tali particolari giardini nella prima metà dell’Ottocento, tanto da essere considerato il più grande architetto italiano per questi particolari monumenti (lavorò anche per la Villa Torlonia di Roma); tra le sue opere di significato massonico le più interessanti e complesse furono il giardino di Villa Cittadella Vigodarzere di Saonara e il giardino di Villa Giacomini Romiati a Padova.
Riteniamo inutile dilungarci sul significato del giardino in quanto tale: simbolo del Paradiso Celeste e del Paradiso Terrestre, figura del Cosmo e degli “stati spirituali dell’essere”, il giardino può essere visto in queste e in altre chiavi ancora d’interpretazione, essendo tra l’altro il luogo-simbolo del viaggio dell’anima (o se si preferisce dell’Iniziato) attraverso il complesso simbolismo dei viali, degli alberi e degli arbusti che lo ornano, delle costruzioni, dei ruscelli e delle colline di cui si compone.
Il giardino del chiostro monastico, il giardino all’italiana con le sue siepi labirintiche, il giardino all’inglese apparentemente naturale e “romantico”, ma in realtà sapientemente elaborato da grandi maestri, sono varianti ognuna delle quali richiederebbe pagine e pagine per poter esaurire completamente l’argomento.
Il giardino è “il campo coltivato dove avviene la ricerca. Si distingue per le infinite tipologie di fiori, di essenze, di profumi, ognuno dei quali ha un preciso significato e suggerisce un percorso” (Lanzi pag. 393), e sarà proprio seguendo questa concezione che cercheremo di comprendere il senso nascosto di uno dei giardini massonici italiani del quale ci è giunta una descrizione particolareggiata fatta pochi anni dopo la sua costruzione.
Si tratta del giardino di Saonara presso Padova (Fig. 2), fatto costruire dal conte Antonio Vigodarzere e ora di proprietà Valmarana, opera di Giuseppe Jappelli, il quale lo iniziò negli anni 1816-1817 e proseguì il suo lavoro in anni successivi, lavori che furono completati nel 1863, dopo la sua morte avvenuta nel 1852. Sia il committente sia l’architetto erano ambedue Massoni appartenenti alla Loggia padovana “La Pace”, anche se lo Jappelli nel 1826 fece abiura di fronte alle autorità austriache della sua appartenenza alla Massoneria, che dichiarò di aver frequentato negli anni 1803-1813, trattando questa sua adesione quasi alla guisa di un errore di gioventù e adducendo come scusa l’aver ivi incontrato personalità eminenti della società padovana (il che per certi versi ricorda l’abiura che fece il Principe Raimondo de Sangro di fronte al suo Re e al papa).
Il conte padovano Giovanni Cittadella, parente del proprietario della villa Andrea Cittadella Vigodarzere, nipote ed erede del costruttore, nel 1838 fece un’accurata descrizione di questo giardino (dal suo testo sono estratte le citazioni su di esso), grazie alla quale ci è pervenuta un accurato resoconto delle costruzioni e della vegetazione messa in opera dallo Jappelli (sia la une che l’altra ormai in gran parte rifatte o perdute), però allo stesso tempo il modo in cui Cittadella descrive la visita nella forma di una amena passeggiata è tale che essa può essere letta come un vero e proprio viaggio iniziatico in chiave massonica.
Notiamo che il Cittadella riferisce che “Andrea, non ha molto, allargò a tanta magnificenza la grotta [dei Templari], per lo addietro ristretta a breve confine”: ciò induce a pensare, considerato il fitto simbolismo di questa costruzione, che anche Andrea Cittadella fosse, come lo zio, ascritto alla Massoneria e, se fece un tale lavoro, probabilmente ad una Loggia Scozzese, Rito in cui la presenza dell’Ordine del Tempio è fondamentale. Ciò è confermato dal fatto che in una descrizione del giardino fatta da Tullio Dandolo nel 1833, e quindi precedente quella del Cittadella, si parla solo di “una scena mortuaria… altere tombe e lunghe figure di giacenti” senza cenno alle sale interne (Giardino pag. 186).
Per poter meglio esaminare il significato del giardino ne faremo prima un breve riassunto.
La visita descritta dal Cittadella inizia di sera da un’isoletta costruita al centro del piccolo lago (artificiale) che orna il parco, ove egli si ritrova con alcuni amici. E’ una notte chiara, dall’isoletta si possono vedere i cigni che nuotano nel lago e un ponticello che unisce due colli scavalcando il ruscello che alimenta lo specchio d’acqua.
La visita riprende la mattina successiva, in una giornata luminosa: gli amici dalla villa (ove hanno trascorso la notte) di dirigono verso un tempietto a forma di Pantheon (costruito come cappella di famiglia non da Jappelli ma da Angelo Sacchetti negli anni successivi – Giardino pag. 183) passando per un viale di thuie foggiate a cipresso, giungono ad una macchia di arbusti tra cui siringhe e mimose ed alberi quali platani e frassini per arrivare ad un poggio dove si erge una statua di Ercole situata all’ombra dei pioppi e dopo di esso un secondo poggio sul quale vi sono un’ara ed un’anfora.
Da qui essi passano sul piccolo ponte (Fig. 3) e attraversando un boschetto di bossi, tassi e cipressi si dirigono verso la Grotta dei Templari.
La Grotta (completamente artificiale) si compone di tre ambienti: il primo ambiente è il Sepolcreto dei Templari, ove si trovano le tombe dei guerrieri tra bandiere ed armi appese alle mura, da qui si passa nella Sala del Giuramento, nella quale si trova lo scranno del Maestro ed un altare sul quale sono posti una spada, un pugnale ed un bacile.
Attraverso una stretta porta si discende un corridoio nel quale sono due gruppi in bassorilievo, raffiguranti l’uno il battesimo di acqua, con il neofita immerso in un’urna mentre un sacerdote versa l’acqua sul suo capo alla presenza di una civetta, e l’altro il battesimo di fuoco, con un cratere contenente il fuoco ed una stella a sette raggi; l’animale presente nel secondo bassorilievo è una cicogna. A confermare la valenza massonica del luogo in questo secondo bassorilievo è scolpita una lettera G.
Il corridoio sbocca in una terza caverna nella quale troneggia (o meglio troneggiava essendo ora distrutta) una statua del Baphomet, raffigurato in modo simile all’illustrazione dell’opera di von Hammer Mysterium Baphometis revelatum.
Dalla Grotta dei Templari si esce in una “lieta pianura” tra olivi e carpini e il gruppo giunge ad un fiumicello dove lo Jappelli ha eretto una costruzione chiamata la Casa del Mugnaio (si trovano quasi sempre in questi giardini delle piccole case che assumono nomi differenti, forse con un significato mistico).
Alla fine della passeggiata, all’ora del tramonto, i visitatori giungono al termine del giardino e. passando sopra un secondo ponte costruito al di sopra di quello attraversato all’inizio del viaggio, rientrano nella villa.
Così si conclude la visita al giardino di Saonara: analizziamo ora alcuni aspetti del resoconto che ci ha dato il Cittadella per vedere se in esso sia presente un significato iniziatico.
L’azione ha inizio in un’isola al centro del lago durante una notte così luminosa che sembra proseguire in essa la luce del giorno, ed infatti il Cittadella descrive la luna come “un sole notturno”, sicché “tutto il lago era un lago di luce”. Prima di un rito è necessario raggiungere il massimo grado di concentrazione per isolarsi dal mondo materiale all’esterno e dalle dispersioni di energia all’interno di sè, portare ogni facoltà psichica e spirituale nel proprio centro, centro microcosmico che in questo modo si identifica con il Centro macrocosmico, il punto in cui l’asse verticale del Potere creatore incontra gli assi orizzontali della creazione, punto centrale qui rappresentato dall’isola.
L’acqua del lago è simbolo del Caos primordiale da cui la Volontà creatrice genera l’esistente e i cigni, essendo ora notte, sono a loro volta simbolo di questo potere femminile e lunare, che il mito greco esprime nella figura di Leda-cigno; l’autore ne parla come quelli che hanno “il ministero gentile di trarre sul cocchio la Dèa del piacere”, simbolo dell’Amore e del Potere generatore come fuoco.
Nell’alchimia “Venere è unita ad un fuoco che si trova anche in Marte, e fra loro vi è una tale analogia naturale che di Marte si può fare Venere”; con il nome di Afrodisia viene indicato dagli alchimisti una fase di preparazione della Pietra “quando la pietra ha raggiunto l’età di Venere, ossia il colore aranciato” (Pernety Dizionario sub voces). Nel Grande Oriente Scozzese d’Italia il rituale per il grado di Apprendista è posto sotto l’immagine di Venere secondo il testo della Loggia “Quatuor Coronati”.
Sarà bene notare però che l’animale di Venere è la colomba e non il cigno: errore del Cittadella o voluto riferimento al carattere apollineo e solare dell’animale, a confermare il significato di “sole notturno” nella splendente luna che illumina il lago?
Il paesaggio intorno al lago che si vede dall’isola prefigura il viaggio iniziatico che dovrà essere compiuto, rappresentato dal riferimento al piccolo ponte che collega i due colli, i due mondi dell’al di qua e dell’al di là.
L’azione rituale ha il suo inizio il giorno successivo, alla luce di un sole splendente, Sole spirituale che presiede all’azione: le thuie, tagliate a forma di cipresso come dice il testo, sono come quest’albero simbolo di immortalità ma un’immortalità che deve ancora realizzarsi, visto che esse sono piante di piccole dimensioni rispetto al maestoso cipresso.
Altri elementi vegetali fanno parte di questa prima fase: in particolare la siringa, la mimosa, il frassino. Vediamone il significato simbolico.
La siringa o canna palustre è la pianta da cui Pan costruì il suo flauto, ma Pan è figlio di Mercurio e per Pernety è il principio fecondante della Natura, ”fuoco innato” che deve essere messo in movimento (Fables I, libro I, cap. V). Dalla canna dice Isidoro di Siviglia, citando Varrone, che nelle Indie si estrae dalle sue radici un succo dolcissimo che può competere con il miele (“premitur radici bus humor, dulcia cui nequeant suco contendere mella” – Isidoro XVII 57).
La mimosa è simbolo solare di magnificenza e di potenza, emblema della sicurezza (Chevalier-Gheerbrant ).
Il frassino, così detto perché nasce nei luoghi montani ed aspri come dice Isidoro (“fraxinus… quod in aspera loca et montana fraga nascitur” –XVII 39), è l’axis mundi per eccellenza, l’Yggdrasil norreno, il quale produce la manna che nutre gli ebrei nel deserto (Menghini pag. 200). E’ il legno con cui si costruisce la lancia, per i Greci è l’albero che genera la “razza di bronzo”, terribile e potente, ma è anche simbolo di fecondità e di immortalità e il suo legno mette in fuga i serpenti (Chevalier-Gheerbrant ).
Il platano, dal greco πλατύς, è albero dalla chioma ampia e dalle foglie simili a quelle della vite (Isidoro XVII 37). Il platano si ritrova nel mito greco di Oto ed Efialte, i due giganti figli di Poseidone ed Ifimedia che tentarono vanamente la scalata all’Olimpo: la loro sorella, dopo che Zeus confinò i fratelli nell’Ade, venne trasformata in platano (Enciclopedia della mitologia sub voce). Interessante notare che in un’altra versione di questo mito, la guerra dei Giganti guidati da Efialte contro gli Dèi, è Eracle, la cui statua compare più avanti, colui che ha il compito di combattere l’arroganza dei Giganti ed uccidere i mostruosi esseri, metà uomo e metà serpente, i cui nomi sono riconducibili a varie forme di incubus notturno, come dice lo stesso nome di Efialte: “colui che balza sopra”, cioè l’incombere del sogno malefico (Graves par. 35 e 37).
L’insieme dei simboli vegetali con cui inizia l’iter porta ad un’interpretazione complessa: da un lato vi sono simboli funerari, poiché ogni iniziazione passa attraverso la morte del “vecchio uomo”, dall’altro simboli di speranza nella vittoria in una battaglia che deve essere condotta come un vero guerriero, come ci dicono la lancia di frassino e la figura di Eracle che combatte la presunzione di chi già si crede pari a Dio. Un potere primordiale e privo di regola (il Dio Pan) deve essere controllato da una forza solare (la mimosa) per essere indirizzato al giusto fine.
La prima tappa del viaggio è il tempietto: è’ un tempietto con doppio pronao e “vi si estolle nel mezzo una cupola donde viene la luce”, come nel Pantheon romano stando alla descrizione del Cittadella. L’associazione di una struttura cubica o parallelepipedoidale ad una semisferica è simbolo della unione della terra (il cubo) con il cielo (la sfera), quindi del Cosmo al cui centro in questo caso si trova il sepolcro del fondatore del giardino, nella stessa posizione in cui nella chiesa cristiana è situato l’altare contenente le reliquie del santo o la cripta in cui si trova il suo corpo, la quale in tal modo completa la simbolica terna dei mondi, celeste (la cupola), terrestre (il piano della chiesa) ed infero (la cripta).
Il tempio simboleggia il punto di passaggio fra i due mondi che l’iniziato deve varcare per iniziare il suo percorso; come scrive il Campbell, parlandone a proposito della struttura della fiaba: ”il devoto, nell’entrare nel tempio, subisce una metamorfosi, poiché si sveste , come una serpe della propria spoglia, delle proprie qualità secolari e le lascia fuori. Una volta entrato nel tempio è come s’egli fosse morto al mondo e avesse fatto ritorno al Grembo del Mondo, all’Ombelico del Mondo, al Paradiso Terrestre” (pag. 87).
Sorpassata la soglia del tra i due mondi inizia la vera operazione iniziatica: la seconda tappa porta alla statua di Ercole posta “sotto ad un pioppo”, e “poco lungi scorgerai sull’apice d’un poggio un’ara marmorea sostenente un’anfora che t’invita alle libagioni”, un rituale dedicato, come ora diremo, alla Primavera per poter accedere alla fase successiva.
Ercole è il simbolo di colui che affronta vittorioso le prove per diventare alla fine di esse pari a una divinità: nell’ermetismo le dodici fatiche di Ercole sono assimilate alle operazioni necessarie per il compimento della Grande Opera ed egli è “il simbolo stesso dell’Artista che usa il mercurio filosofico” ma al tempo stesso il suo nome è usato in Alchimia per significare “gli spiriti metallici dissolventi, putrefacenti e coagulanti” per “ridurre i corpi alla loro prima materia, ossia l’oro e l’argento dei Filosofi nel loro mercurio” (Pernety Dizionario sub voce). Nel rituale del grado di Compagno del Grande Oriente Scozzese è presente una raffigurazione di questo Dio, secondo il testo della Loggia “Quatuor Coronati”.
La statua si trova all’ombra del pioppo, pianta sacra ad Ercole, il quale con i suoi rami si fece una corona a simbolo di vittoria quando uscì dall’Ade portando con sé il cane Cerbero fatto prigioniero e l’amico Teseo ricondotto alla vita (Pernety Fables II, libro V, cap. XXII). La pianta ha foglie bianche da un lato e scure dall’altro, simboleggianti la dualità dell’essere: “esse sono di due colori, quasi segno del giorno e della notte, con le quali si rende evidente il ciclo del nascere e del tramontare del sole” (Isidoro XVII 45). Del suo legno era fatto il fuoco per i sacrifici a Zeus (Chevalier-Gheerbrant sub voce “pioppo”).
E’ quindi albero funerario connesso con l’Ade ma con un significato di vittoria sulla morte la cui presenza ben si addice a questa fase del percorso: prepararsi alla morte rituale con la speranza di superarla e ri-nascere alla vera Vita. La sua connessione con Ercole, figura del solve et coagula, è quindi ovvia. Ricordiamo che, dal punto di vista alchemico, secondo Pernety Ercole è un Mercurio dolce, mentre Pan, evocato all’inizio del viaggio, è un Mercurio corrosivo ed aggressivo.
L’ara e l’anfora sono “un invito alle libazioni propinate alla primavera quand’era Dèa”: il carattere specifico del luogo è precisato dall’autore, il quale sottolinea come a quel colle e quindi all’ara posta su di esso “il primo sole di primavera invia il suo primo raggio quasi reverente tributo a divinità”. Una tale precisa disposizione astronomica mette in rapporto il “viaggio” che si sta per intraprendere con la ri-nascita primaverile sia del macrocosmo che del microcosmo.
Da qui si discende dalla collina e “il piede ti si smarrisce dove un silenzio religioso ti scuote lo spirito, che lasciato in balia di se stesso, a guisa di sacerdote nelle tenebre del Santuario, si lancia all’Eterno e se gli accosta”: nell’iter iniziatico di Saonara, dopo le promesse di vittoria date da Ercole e dalla Dèa della Primavera, occorre passare nella zona oscura dove si avverte la presenza terribile del Dio, come Dante attraversa la “selva oscura… che nel pensier rinnova la paura” prima di intraprendere il suo viaggio attraverso i tre mondi.
La terza fase porta l’iniziato verso la Grotta dei Templari, ma per giungere ad essa si passa per un boschetto di tassi, bossi e cipressi. Si tratta di piante aventi carattere funerario ma con aspetti diversi. Anche qui troviamo una molteplicità di simboli che predispongono all’atto della morte iniziatica che avverrà nella Grotta dei Templari.
Il tasso (Menghini pag. 148), albero sempreverde con fogliame di colore scuro, ha fama di albero funerario, anche in quanto ad esso è associata fama di tossicità per uomini e quadrupedi, per cui Isidoro lo chiama “venenata arbor” (XVII 40); esso è noto come “albero della morte”, le Furie usavano fiaccole di legno di tasso e nel Macbeth le streghe adoperano rami di tasso per i loro decotti.
Nel mondo celtico e irlandese in particolare il tasso è associato sia con l’idea della morte che con quella del guerriero e della sapienza, in quanto il legno di tasso era supporto per la scrittura ogamica (Chevalier-Gheerbrant sub voce): esso è considerato il più antico degli alberi, di tasso è fatta la ruota del mitico druido Mog Ruith, “il servitore della ruota” e di tasso è l’arco dei guerrieri, infine alcuni nomi irlandesi e gallici si rifanno al tasso (il Re supremo d’Irlanda è Eochaid, “che combatte col tasso”, il nome della città di Evreux viene da Eburovices “i combattenti con il tasso”).
Il cipresso è invece noto come “albero della vita”, anche se siamo abituati a collegarlo con l’idea della morte per il suo uso nei cimiteri: l’aspetto slanciato e verticale come un axis mundi, il fogliame sempreverde, la sua resina adatta a preservare dalla corruzione lo hanno sempre collegato presso molti popoli all’immortalità. Il cipresso, dice Isidoro, era adoperato nei roghi funebri, in modo che il profumo della sua resina coprisse il lezzo dei cadaveri bruciati, ma era anche usato per la costruzione dei templi, in quanto il suo legno non cede al peso e persevera con fermezza nella sua funzione (Isidoro XVII 34).
I giapponesi lo adoperano nei riti shintoisti, il suo legno è usato per la fabbricazione dello shaku, lo scettro usato dai sacerdoti, ed il fuoco sacro è acceso sfregando due rametti di cipresso. Nelle logge delle società segrete cinesi il cipresso è raffigurato all’ingresso di quella che viene chiamata la Città dei Salici; la medicina cinese riconosce ai suoi semi proprietà yang (Chevalier-Gheerbrant sub voce).
In Grecia esso è legato al mito di Ciparisso, il giovane che uccise per errore il cervo dalle corna d’oro che gli era stato affidato e chiese ad Apollo di poter piangere in eterno l’errore commesso, per cui il Dio lo trasformò in cipresso, che così divenne simbolo di lutto ma anche di immortalità (Menghini pag. 73).
Anche il bosso è simbolo di immortalità per le sue caratteristiche di sempreverde, ed in Nord Europa i suoi rami vengono adoperati al posto di quelli di palma nella Domenica delle Palme. Per le caratteristiche del suo legno, duro e compatto, esso è anche adoperato, tra gli altri usi, per costruire il mazzuolo usato dal Maestro nelle Logge massoniche. Allo stesso tempo però era considerato simbolo di sterilità in quanto arbusto sacro agli Dèi inferi, per cui il suo uso era proibito nei riti ad Afrodite (Chevalier-Gheerbrant sub voce). Con le dimensioni che possono raggiungere le sue fronde il bosso può a volte costituire una vera e propria protezione, tanto da esser usata a mo’ di romitorio per gli eremiti medievali (Menghini pag. 86).
Anche qui troviamo una serie di simboli che uniscono l’elemento infero e funerario (l’albero velenoso, la pira dei cadaveri, la sterilità) con elementi di vittoria e di immortalità, ma il carattere positivo è qui accentuato nei molteplici simboli che collegano questi alberi alla sapienza, alle costruzioni sacre, a rituali liturgici e venerabili. Il rischio dell’opera iniziatica può condurre alla morte fisica o psichica o portare l’individuo al di là del piano fisico verso la nascita spirituale.
Dopo le fasi di purificazione e di separazione degli elementi (il passaggio per il “tempietto”, la presenza di Pan e di Ercole, elementi mercuriali e dissolutori su piani diversi, la prefigurazione del rinnovamento primaverile) si giunge al passaggio sotterraneo, al VITRIOL alchemico sotto il segno dei Cavalieri del Tempio. Davanti alla costruzione, dice il Cittadella, “verdeggiano i lauri trionfali, simbolo dei valorosi guerrieri che là entro dormono il sonno eterno” (Fig. 4).
Il lauro è pianta sacra ad Apollo e veniva adoperata dalla Pizia, masticato o bruciato sul fuoco, per le sue qualità vaticinatorie. Esso rappresenta la sapienza in quanto pianta apollinea e l’immortalità, o più specificatamente l’immortalità acquisita per mezzo della vittoria, quindi la sua presenza innanzi al Sepolcreto dei Templari è consono al luogo. Per il rapporto tra vittoria del guerriero ed immortalità rimandiamo a Il mistero del rito sacrificale di Gastone Ventura (Atanòr, Roma s.d.), passim.
Inutile dilungarsi sul significato della grotta: il Centro nascosto, il più piccolo ventricolo del cuore ove riposa il Brahman, l’Utero universale, l’Antro cosmico simboleggiato nella semplicità del presepio natalizio in cui si manifesta la Luce e viene emesso il vagito come Primo Suono sono tutti simboli ben noti del luogo ove avviene la trasmutazione dell’Iniziato.
Ma come tutti i simboli la grotta è anche un “luogo pericoloso”: “La grotta non è sempre e soltanto un luogo di conoscenza ma anche il passaggio per visitare quelle interiora terrae che caratterizzano il percorso alchemico. La grotta fornisce una ulteriore forma di hortus conclusus di roccia che può avere caratteristiche terribili” (Lanzi pag. 372), poiché nelle grotte i miti pongono la sede di draghi, di orchi e di fate quali la Sibilla, la quale può essere benefica o malefica, si pensi alla pericolosa Sibilla Appenninica del Guerin meschino.
Gli Egiziani in uno dei più noti Libri dei Morti, il Libro di ciò che è nell’Amduat, concepiscono nella Quinta Ora del viaggio notturno di Râ, nella quale si trova la caverna del Rostau, la definitiva unione del Dio Solare con la potenza primigenia raffigurata da Sokar tramite la congiunzione tra Iside che esce dalla piramide sotterranea di Sokar con Khepri, il Dio Solare rinnovato in forma del Sole all’alba (Fig. 5); ma la grotta è protetta da divinità temibili pronte a uccidere il visitatore che non abbia la qualificazione per entrarvi (rimandiamo al nostro commento sull’Ora V in La via iniziatica dei Faraoni per una più estesa discussione dell’argomento).
Torneremo più avanti sull’esame della Grotta dei Templari, per la quale dovremo fare un discorso approfondito e articolato per comprenderne il significato, quindi ora torneremo alla descrizione dell’iter a partire dall’uscita dalla Grotta.
Da qui dice il Cittadella “montammo al sommo del colle che chiude quei tenebrosi penetrali delle cerimonie templari”, cioè la collina nella quale Jappelli ha costruito con arte il Sepolcreto templare, per poi discendere in una “lieta pianura… fra mansueti clivi ombreggiati di carpini”, dalle quale si vede tutto il giardino ed i monti circostanti.
Superata la prova del sotterraneo l’Iniziato può conoscere la totalità del cosmo, rappresentata dal panorama che si prospetta dal colle, e questo sotto il simbolo del carpine, cioè della betulla, albero che nella mitologia celtica ha la duplice significazione di purificazione e rinascita, purificazione perché perde a primavera la sua corteccia esterna a somiglianza della muta di un serpente, spogliandosi dei “vecchi abiti” per rinascere dopo la pausa invernale a nuova vita (Menghini pagg. 83-84). Il simbolo della rinascita ben si addice a colui che ha superato eroicamente la prova del descensus ad inferos ed è “uscito a riveder le stelle”.
L’elemento successivo dell’iter conferma questa idea della rinascita: si giunge ad una piccola costruzione detta la casa del Mugnaio, luogo “ove disepellironsi urne funerarie, ossa, teschi e molte altre reliquie”. Era consuetudine nelle grandi ville erigere piccole costruzioni, ma in questo caso ciò che interessa è il nome: esso potrebbe essere semplicemente in relazione con la presenza nella terra di Saonara di un mulino sulle rive del fiumicello che attraversa la proprietà, il Medoaco, però la presenza in un altro giardino dello Jappelli di una particolare costruzione ci fa ritenere che non si tratti di un nome casuale ma che voglia alludere alla “Casa del Pane”, cioè Betlemme, luogo di nascita del Bambino celeste, un’ulteriore prova del superamento del ” vecchio uomo” di cui parla Paolo nelle sue Lettere.
Nel giardino di Villa Romiati a Padova Jappelli tra le altre costruzioni eresse due torri, definite da Agostinetti come un “classico elemento massonico”: la prima, più piccola, costituita da un piano interrato che comunica con il piano superiore attraverso un buco nella volta, tipico “passaggio angusto” corrispondente alla “stretta porticina” che porta, come vedremo, dalla seconda alla terza sala del Sepolcreto dei Templari di Villa Vigodarzere, ed una seconda di maggiori dimensioni, a quattro livelli, colorata originariamente di giallo, azzurro e nero.
In questa la stanza a livello terra è “quasi buia con l’unica luce proveniente da una finestrina, probabilmente è la Camera dell’Apprendista… Si sale al primo piano dove maggiore è l’illuminazione creata da due grandi finestre e altre due però murate, quindi alla Camera di Mezzo (II piano) o Loggia del Maestro Libero Muratore”; ma la costruzione ha ancora altri due piani, poiché “il massone può raggiungere altri gradi di perfezione… e poiché il maestro è vincolato al numero sette, sette sono le finestre della stanza. Infine si può raggiungere la cima della torre in una stanza circolare finestrata da cui è possibile godere un grande panorama della città, simile al senso di beatitudine che ha il saggio” (Agostinetti pagg. 44-45).
Tutta la costruzione sembra indicare il simbolismo di un rituale che va al di là dei primi tre gradi della Massoneria per giungere al quelli che sono chiamati gli Alti Gradi, come avviene ad esempio nell’Antico Rito di Misraïm: la stessa cosa sembra riscontrabile nel giardino di Saonara come appresso si dirà.
In conclusione la Casa del Mugnaio di Villa Vigodarzere potrebbe in effetti avere un significato superiore all’essere un semplicistico ricordo di un mulino preesistente, ed assumere quel valore esoterico che ha in modo più esplicito la torre di Villa Romiati.
L’ultima tappa del viaggio si svolge nell’ambito di due differenti aspetti del giardino: d’un tratto “al brio d’una prospera vegetazione piacesi di surrogare un aspetto languido, smunto, un suolo infecondo, ingombro solamente di salvie, d’olivelle (nome dato al tempo ad un’erba medicinale simile all’olivo oppure al ligustro, secondo il Dizionario della lingua italiana del Tommaseo), di timi che svegliano idee di melanconia… se tu procedi oltre, la non più steril spiaggia rinvigorisce… s’innalzano sublimi gleditschie, protetto dalle quali imbruna un sentieruolo”, il quale porta ad un nuovo punto di visuale più alto dal quale si vede tutto il giardino nel suo insieme, il laghetto e “i differenti alberi fin qui disgiuntamente mirati, ora raccolti in una sola veduta”, fino a raggiungere in salita ”il più alto dei poggi”, dal quale la vista si allarga fino a Padova e a Venezia.
Qui si trova “una rustica capanna… a sosta simulata dei cacciatori, i quali imitammo anche noi se non nelle fatiche venatorie, almeno nelle dolcezze del riposo”. Ripreso il cammino si passa per un bosco di olmi fino a giungere ad un secondo ponte che sovrasta il “ponticello rusticano” attraversato all’inizio del percorso. Alla fine il ritorno alla villa passa per “una via ombrosa di spiree… una macchia di magnolie e di tulipifere (altro genere di magnolia)”.
In queste espressioni sembra esserci un riferimento al raggiungimento di uno stato superiore, per giungere al quale si passa per “un suolo infecondo”, con cui si potrebbe alludere al deserto spirituale che l’anima sperimenta prima dell’ultimo passaggio sulla via iniziatica. San Giovanni della Croce afferma che questa è “la seconda notte o purificazione” dell’anima, “riservata ai proficienti che vi sono introdotti quando il Signore vuol farli passare allo stato di unione con Lui. Questa è la purificazione più oscura, più tenebrosa, più terribile” (Salita del Monte Carmelo, l. I cap. I, 3), quella “notte orrenda oscura in cui Dio pone deliberatamente l’anima per elevarla all’unione divina” (l. II cap. I, 1), la quale è “lasciata arida e vuota” (l. II cap. VI, 4) prima del compimento finale.
Il simbolo del definitivo perfezionamento dell’Opera viene espresso nell’ascesa al ”più alto dei poggi” e nell’attraversamento del ponte posto al di sopra di quello attraversato all’andata, immagine per eccellenza del passaggio da uno stato all’altro però di un superiore rispetto quello cui si era pervenuti in precedenza. Le piante che hanno accompagnato l’iter ora si confondono “in una sola veduta”, segno del raggiungimento di quell’apice nel quale tutte le Tradizioni e tutti i simboli si fondono nell’Unità.
Questa realizzazione assume per simbolo la Capanna del Cacciatore presso il quale si può finalmente riposare: se il cacciatore è simbolicamente colui il quale persegue una ricerca spirituale, il raggiungimento dell’obiettivo coincide con il “riposo”, in accordo con una frase del Vangelo di Tommaso (Erbetta I pag. 100): “Gesù dice: ‘Chi cerca non desista dal cercare, finché non abbia trovato. Quando avrà trovato si stupirà, stupito regnerà e giunto al regno si riposerà’ ”.
Al termine del percorso si trova infatti la magnolia, simbolo del “Centro, o, se si vuole, il punto primordiale che produsse il big-bang da cui poi si originò l’universo. Simbolicamente il Cuore di un maestoso albero sempreverde, dai vistosi fiori bianchi, in sintonia con il suo stato di Purezza, di Albero della Vita, di Albero Cosmico” (Menghini pag. 36).
Così termina il percorso, “gustando le delizie che rinnovavaci l’arte del giardinaggio, arte difficile, né so se delle altre belle sorella o più veramente compendio”. Sottolineiamo l’allusione finale del Cittadella: l’Arte del giardinaggio, cioè l’arte di Jappelli e di architetti come lui nel costruire opere che siano un riassunto dell’Arte ermetica, costituisce un compendio di tutte le altre Arti. |
Il percorso iniziatico nella Villa Vigodarzere di Saonara
II Parte
di Paolo Galiano ©
“Per gentile concessione dell’autore e del Centro Studi Simmetria”
Riprendiamo ora la descrizione e l’analisi della parte del testo concernente il Sepolcreto dei Cavalieri, analisi dalla quale riteniamo di poter ottenere risultati di un certo interesse.
L’attraversamento sotterraneo della Grotta (Fig. 6), simbolica discesa nelle profondità della terra, è suddiviso in tre fasi: la prima è la visione della morte, sotto la forma del Sepolcreto dei Cavalieri, la seconda è l’iniziazione nella Sala del Giuramento davanti al Maestro, la terza, attraverso un passaggio ove l’Iniziato è sottoposto ai due Battesimi di Acqua e di Fuoco, è la visione del Baphomet in tutto il suo terribile splendore.
Discesi alcuni gradini si entra nel Sepolcreto dei Cavalieri (Fig. 7): “Le armi appiccate intorno, i trofei che ricordano la prodezza templare, un cavaliere coperto dalla bruna armatura e steso sul maggiore dei sepolcri impugnando la spada a due tagli”. La scena indica la morte fisica che l’Iniziato deve superare prima di completare il suo viaggio iniziatico e corrisponde al “Gabinetto di Riflessione” nel rituale di ammissione al grado di Apprendista (nel rituale della Massoneria Egizia di Cagliostro, secondo il testo riportato da Haven pag. 26, la Camera di Riflessione ha proprio la forma di una grotta).
Ad essa segue la Sala del Giuramento, la cui formula, dice il Cittadella, è scritta sull’altare dove sono posti il pugnale, la spada e un bacile, simboli che ricorrono in Massoneria: la spada usata dal Maestro per toccare tre volte la spalla destra del candidato, i pugnali con i quali i Fratelli minacciano di morte chi divulgherà i segreti della Società, il bacile contenente acqua pura per la “prova dell’acqua” o quello contenente liquido infiammabile per la “prova del fuoco” (a meno che non si tratti della coppa del liquido dolce e amaro che l’Apprendista deve bere).
Nel passaggio che unisce la seconda sala alla terza, percorso in discesa ad accentuare il carattere di descensus ad Inferos, sono situate le raffigurazioni dei due rituali di acqua e di fuoco, corrispondenti a due delle tre “prove” cui è sottoposto l’Apprendista ma, considerata l’assenza di simboli concernenti la terza prova, cioè la “prova dell’aria”, potrebbe in realtà trattarsi di due dei tre Battesimi noti alla Gnosi protocristiana come allo gnosticismo eretico. In effetti il Cittadella come vedremo parla esplicitamente di “riti ofitici” e quindi questa seconda interpretazione ci pare più esatta.
Si tratta del Battesimo di Acqua, che si effettuava tramite l’immersione del battezzando in una piscina di acqua corrente, e del Battesimo di Fuoco, il quale era realizzato con l’unzione di un crisma particolare preparato a tale scopo ed aveva nel cristianesimo ortodosso il significato di un esorcismo; il terzo Battesimo era il Battesimo di Spirito Santo, per il quale si usava un secondo crisma, avente la proprietà di dare la rigenerazione spirituale al neofita. Rispetto alla descrizione del Cittadella, il quale pone prima quello di acqua e poi quello di fuoco, in realtà i due Battesimi andrebbero invertiti (sull’argomento si veda in modo esaustivo il nostro Le vie della Gnosi parte II cap. 2).
I due rituali sono presentati separatamente: il primo con un’urna, avente accanto il bassorilievo nel quale è scolpito il neofita “(nell’urna) il neofito ripiegato fuori colla persona all’ingiù, colle braccia pendenti, a cui sorregge il capo un Jerofante mentre un altro vi riversa sopra l’acqua lustrale alla presenza della civetta, simbolo della sapienza” (Fig. 8), il secondo con un braciere: “mirammo il cratere, o l’ara del fuoco colla grata ferrea al disopra, dove distendevasi il novizio, cui il vicino bassorilievo ti mostra giacente tra profumi, come per apparecchiarsi a quel connubio, che presso gli gnostici chiamavasi spirituale e teneva il posto d’ogni sacramento… poi scorgi i due accoliti che assistono al rito, la stella a sette raggi che rappresenta le prime sette emanazioni della divinità, la cicogna che vale amore, e la lettera G, impresa del gnosticismo”.
I due rituali sono posti in connessione con due animali: quello di acqua con la civetta, quello del fuoco con la cicogna. La civetta, animale lunare, è simbolo duplice: simbolo negativo in quanto funesto e malefico già presso gli Egizi, connesso con le streghe (striges) e considerato di cattivo auspicio dai Romani, tanto che se una civetta entrava nel tempio di Giove era necessario praticare riti di purificazione (Cardini), d’altro canto per i Greci esso era invece simbolo della sapienza in quanto animale di Athena, il cui nome latino Minerva è legato sia a mens che a mensura e a mensis, il periodo di tempo misurato dalla luna. La raffigurazione di Minerva si trova al lato orientale del Tempio massonico, dove siede il Maestro, nei rituali del Grande Oriente Scozzese, secondo il testo della Loggia “Quatuor Coronati”.
La connessione tra civetta-luna-acqua è chiara, meno chiaro il collegamento tra cicogna e fuoco: la cicogna è simbolo di fecondità e di sapienza per la posizione che assume su una sola zampa, nonché di amor filiale, poiché si ritiene che essa sia solita sfamare i suoi vecchi genitori (Chevalier-Gheerbrant sub voce), come il pellicano fa con i suoi piccoli, ma nulla di tutto ciò ne fa un animale solare o quanto meno connesso con il fuoco, a meno che il Cittadella non si sia confuso nella sua descrizione, scambiando la fenice con la cicogna (non sarebbe la prima volta che egli commette un errore: ad esempio, come sopra detto, egli attribuisce ai cigni il ruolo di animali sacri a Venere, mentre lo sono le colombe).
Altra possibilità è che, poiché “la cicogna vale amore”, si faccia riferimento non all’amor filiale ma al sacramento gnostico, presente nello gnosticismo eretico protocristiano, noto come “camera nuziale”, adoperato in particolare dai Valentiniani ma anche in altre sette gnostiche, di cui si parla ad esempio nel Vangelo di Filippo (Erbetta vol. I pagg. 220-243): “Il Signore ha operato tutto con un mistero: battesimo, crisma, eucarestia, redenzione e camera nuziale” (loghion 68), “La camera nuziale è il Santo dei Santi” (loghion 76), “Se uno diventa figlio della camera nuziale, riceverà la luce” (loghion 127); si tratta di una unione di carattere spirituale, la quale forse aveva come corrispondenza nel cristianesimo ortodosso dei primi due secoli ciò che potrebbe essere un rapporto ierogamico tra “profeta” e “virgo subintroducta” (sull’argomento si veda Le vie della Gnosi parte II cap. I).
Tale interpretazione è confortata dalle parole del Cittadella a proposito del “battesimo di fuoco”: “quel connubio, che presso gli gnostici chiamavasi spirituale e teneva il posto d’ogni sacramento”, col che egli intendeva riferire il simbolismo del bassorilievo non alla “prova del fuoco” massonica ma al sacramento gnostico del matrimonio spirituale (“unione immacolata dotata di grande forza” è detto nel loghion 60), il cui simbolo era il bacio (“i perfetti divengono fecondi con un bacio” – loghion 31).
La lettera G presente nel bassorilievo ed interpretata come iniziale di Gnosticismo sembra essere un voluto travisamento della lettera G presente nel Tempio massonico, ove essa rappresenta l’iniziale di God o forse, in base a quanto scrive Guenon (Simboli della scienza sacra cap. 17), la trasposizione in lettere latine della parola Γεομητρια con riferimento all’Arte su cui è basata la Massoneria operativa.
Ancora più importante è la presenza di una stella a sette raggi, che per il Cittadella “rappresenta le prime sette emanazioni della divinità” e non è simbolo massonico, cui è propria la stella a cinque raggi; qui l’autore parla a nostro parere dei primi sette Angeli della Gnosi, i Primi-nati o Protoctisti, dei quali scrive Erma nel suo Pastore: “(i sei giovanetti che costruiscono la torre) sono i santi angeli di Dio, i primi creati ai quali il Signore ha assegnato il compito di sviluppare, costruire, governare la sua creazione” (Visione III, 4, 2), ai quali si aggiunge come settimo il Cristo, considerato nel giudeocristianesimo come il primo dei Sette Angeli: “I sei preposti alla costruzione camminavano con lui, alla sua destra e alla sua sinistra” (Simil. IX, 6, 2).
Questo insieme di dati induce a ritenere che nel passaggio tra seconda e terza sala non vi fosse la raffigurazione delle due prove massoniche dell’acqua e del fuoco bensì proprio un riassunto dei “sacramenti” gnostici, valentiniani o forse mandei (Erbetta pag. 219), come descritti nel loghion 66 del Vangelo di Filippo: “L’anima e lo spirito esistettero mediante acqua, fuoco e luce, il figlio della camera nuziale mediante fuoco e luce. Il fuoco è il crisma, la luce è il fuoco”. Mentre “l’anima e lo spirito” fanno riferimento al neofita che intraprende il suo percorso mediante il “battesimo di acqua”, il “figlio della camera nuziale” è lo gnostico che per mezzo del “battesimo di fuoco” ricongiunge la sua parte spirituale, lo pneuma, all’angelo cioè il logos o il nous (Erbetta pag. 218) e ritorna così alla pienezza del Pleroma.
Il “battesimo di acqua” è l’unione dei tre Battesimi di acqua, fuoco e Spirito presenti anche nel cristianesimo ortodosso, ad esempio presso i Nazareni (vedasi Le vie della Gnosi appendice I), e dei quali nell’attuale cattolicesimo sono rimasti appena alcuni residui (l’acqua, il cero acceso, il soffio del sacerdote sul battezzando), il “battesimo di fuoco”, del quale nel cattolicesimo ortodosso potrebbe essere rimasta traccia nel rito della Cresima, è invece il passaggio dello gnostico alla perfezione mediante un secondo crisma che realizza l’unione perfetta tra pneuma e nous simboleggiata dal “mistero della camera nuziale”: “Chiunque entrerà nella camera nuziale accenderà la luce… I misteri dello sposalizio si compiono di giorno e alla luce. Sia tale giorno che la sua luce non tramontano” (loghion 126 – il riferimento al “giorno che non tramonta” richiama alla mente i capitoli della Regola sia dell’Ordine benedettino che dell’Ordine del Tempio sulla luce da tenere accesa per tutta la notte - si veda a tal proposito il commento all’art. 63 nel nostro saggio su La Regola primitiva dell’Ordine del Tempio, Simmetria, Roma 2010).
Al termine del passaggio si giunge nella terza sala del complesso, ove troneggia la gigantesca statua del Baphomet (Fig. 9), rappresentato da Jappelli con le stesse caratteristiche presenti nell’illustrazione del Mysterium Baphometis revelatum di von Hammer (Fig. 10): “lo Spirito santo di quella bugiarda teogonia (ofita e templare) appare nella statua gigantesca che ti sorge dinanzi… la sua corona triforme, la figura maschifemmina … tiene con ciascheduna delle mani la catena degli eoni o dei secoli, in cima alla quale dall’una parte il raggio di sole, dall’altra splende la luna… Baffomete fa germinare la terra, fiorire gli alberi. Ha un cranio tra i piedi, il mento barbuto e rimpetto giace un’ara rovesciata dal tempo ove leggesi il prototipo della fede ofitica che il Jappelli accortamente volle espresso in caratteri arabici.. perché l’orientale favella ci fosse velame a troppo liberi sensi… Né poteva il Jappelli meglio che col Baffomete crescere il meraviglioso a questa grotta”. Si noti la perfetta rispondenza dell’immagine a quanto si sa del presunto idolo templare attraverso le deposizioni estorte con la tortura ai Cavalieri, in particolare la sua relazione con la fecondità (si veda Barber Appendice A).
Dall’insieme delle interpretazioni che abbiamo dato ci sembra che il Cittadella dovesse essere fornito di una conoscenza non irrilevante della Gnosi e dello gnosticismo, se si tiene presente che a quel tempo i papiri di Nag Hammadi (trovati nel 1945) erano ben lungi dall’essere stati tradotti e tutto ciò che si sapeva delle sette gnostiche e dei loro rituali era filtrato attraverso gli scritti dei Padri della Chiesa, certo non favorevoli a quelle.
Quale il rapporto fra gnosticismo e Templari secondo il pensiero dell’autore? Apparentemente il Cittadella ritiene i Templari effettivamente colpevoli delle accuse infamanti che furono loro rivolte, di eresia con l’adorazione di un idolo detto Baphomet e di comportamenti contro natura. Poiché essi “le voluttà dello spirito a quelle dei sensi scambiando, si abbandonarono all’enormezze della più nefasta lascivia”.
Da rilevare che l’autore fa esplicito riferimento nel parlare del Baphomet a Joseph von Hammer Purgstall, che egli chiama “eruditissimo consigliere”, autore di un Mysterium Baphometis revelatum che era stato edito nel 1819; il von Hammer, tra il 1819 e il 1821, data in cui pubblicò un suo libro di ricordi di viaggio, era stato sicuramente a Venezia (Il Giardino pag. 188), quindi poteva avere incontrato di persona lo Jappelli o il Vigodarzere suo committente o anche il nipote Andrea. Nel suo scritto Giovanni Cittadella dimostra di conoscerne bene il testo sul Baphomet, così come lo conosceva lo Jappelli, visto che questi trascrisse “in caratteri arabici i principii ofitici”, esattamente come si trovano disegnati nell’illustrazione del Baphomet riportata nel Mysterium Baphometis, così come le nozioni esatte e particolareggiate sulla “gnosi ofitica”, che lo Jappelli tradusse graficamente nei simboli e nei bassorilievi del Sepolcreto, certo tratte dall’opera del von Hammer.
Già il tedesco Friederich Nicolai aveva interpretato il Baphomet come idolo gnostico, il cui nome sarebbe secondo questi traducibile con “battesimo di spirito”, etimologia ripresa anche dal Fulcanelli tra le sue diverse interpretazioni alchemiche del Baphomet, considerato “emblema delle tradizioni segrete dell’Ordine” (Dimore I pag. 164 e pag 165 nota 1)
Von Hammer Purgstall attribuiva ai Templari la colpa di essere stati in realtà eretici, in quanto eredi della setta degli Ofiti, setta presente nell’ambito del protocristianesimo orientale intorno al II sec., per cui la sua interpretazione del Baphomet templare, come di tutto ciò che riguarda i Cavalieri, è in realtà un’interpretazione assolutamente negativa e tutta la sua opera costituisce un’aperta condanna dei Templari considerati “colpevoli di apostasia, idolatria, impurità e di essere gnostici o addirittura ofiti sulla base dei loro stessi documenti” (per la sua posizione nell’ambito del templarismo dell’800 si veda Partner pagg. 160-167).
Evidentemente per Giovanni Cittadella e per il cugino Andrea le cose non stavano così, come infatti nota anche Agostinetti: “E’ strano che il massone Cittadella apprezzasse in modo così evidente Hammer, uomo della restaurazione che considerava i Massoni pericoli per le società e le istituzioni” (pag. 32 nota 7), poiché li considerava nell’ambito di una “teoria della cospirazione” come elementi di una catena di pericolosi attentatori alla società costituita, catena che andava dagli gnostici del protocristianesimo ai Templari e agli Albigesi per arrivare alla Libera Muratoria.
Quindi la domanda che ci poniamo è: per quale motivo il Vigodarzere e suo nipote Andrea Cittadella dopo di lui spesero tempo e denaro per creare il Sepolcreto Templare con i suoi annessi? Si trattava solo, come fa pensare Giovanni Cittadella, di una ricerca del meraviglioso, un giardino dell’horror per stupire ed impressionare le belle dame padovane?
Troppo precise le rispondenze con il pensiero ofitico o meglio gnostico per essere una coincidenza e troppo complessa la disposizione del giardino, dei suoi elementi, della sua stessa vegetazione per trattarsi solamente di un divertente gioco fatto per sbalordire e sconcertare gli ospiti.
Il motivo dell’apparente condivisione del pensiero di von Hammer, il quale era, ricordiamo, un funzionario di alto rango della diplomazia austriaca, potrebbe trovarsi in ciò che era successo nel 1826, quando Jappelli aveva dovuto fare abiura davanti alle autorità asburgiche della sua adesione alla Massoneria, perseguitata in tutta Italia e in Europa già da anni per il suo carattere segreto che preoccupava i poteri centrali.
Potrebbe pertanto essere che Giovanni Cittadella abbia preferito nascondere sotto l’apparente disprezzo per i Cavalieri Templari, definiti eretici e sodomiti, il vero significato esoterico del giardino, che solo un’attenta lettura ed un’analisi approfondita riescono a rilevare e a rivelare.
Alla fine del viaggio attraverso il giardino di Villa Vigodarzere vogliamo cercare la risposta ad una domanda: quali Templari sono stati raffigurati nel giardino di Saonara?
I Cavalieri del Tempio, nella loro realtà storica come nell’immaginario in cui furono successivamente avvolti, ebbero diversi volti (d’altronde il Baphomet a loro attribuito ebbe, secondo le testimonianze estorte al processo, anche quattro volti! – Barber pag. 230).
Prodi e temibili guerrieri, di cui “uno vale cento” come da taluni viene interpretato il nome del loro gonfalone Baussant, fedeli servitori del Pontefice romano dal quale direttamente dipendevano, pronti a dare la morte come a riceverla, ma anche capaci di grossolani “scherzi da caserma”, perché così alcuni autori considerano le accuse sugli oscula obscena: “il bacio sul sedere (era) un vero e proprio ‘atto di nonnismo’ teso ad umiliare la recluta dinanzi agli anziani, e l’esortazione verbale all’omosessualità (era) probabilmente nata come parodia del precetto che imponeva al Templare di dare tutto se stesso all’Ordine e ai confratelli… tipici esempi di bassa tradizione militare, che si insinuarono fra i costumi dell’Ordine quando la disciplina tradizionale cominciò ad allentarsi… secondo una fonte interna al Tempio ciò accadde sotto il magistero di Thomas Bérard” (Frale pagg. 142-143) Gran Maestro fra il 1252 o 1257 e il 1273.
Ovviamente la tesi moderna che questi usi sodomitici ed altro ancora derivassero da una modifica della Regola dovuta ad un Gran Maestro Roncelin, cui si attribuisce una “regola segreta”, è falsa semplicemente perché l’unico Templare di questo nome che conosciamo, Roncelin de Fos, non era un Gran Maestro dell’Ordine ma un Maestro di Provenza e poi d’Inghilterra, quindi impossibilitato a modificare in qualunque modo la Regola (Partner pag.91).
I Templari erano profondamente cattolici e la loro devozione a Maria Madre di Dio, devozione certo derivatagli dallo stesso Bernardo, “innamorato della Madonna” come fu definito, nacque con loro e si spense con loro, ed ultima testimonianza fu la preghiera scritta da un Templare nelle prigioni di Filippo di Francia: “Santa Maria Madre di Dio… proteggi l’ordine dedicato a te, santissima e gloriosissima… Te imploriamo umilmente… nonostante tutte le calunnie rovesciate su di noi dai bugiardi, come Tu sai, i nostri avversari siano ricondotti alla verità, sicché noi possiamo conservare i nostri voti e i comandamenti del Signore nostro Gesù”.
Ma sono gli stessi Templari che non si esimevano dal proteggere i musulmani, concedendo loro di avere luoghi di preghiera tra le mura del Tempio, fatto per quei tempi più che scandaloso, e di avere in Siria come loro tributari gli Ismaeliti della setta degli Assassini, musulmani di fede šī’ita, dal 1152 fino alla cacciata dei cristiani dal paese (tributo per altro pagato anche agli Ospitalieri - si veda Filippani Ronconi pagg. 210, 222-224 e 247 - tra i quali però vi fu chi nel XVII e XVIII sviluppò manifestamente un insolito interesse per l’Emetismo e l’Alchimia, come Manuel Pinto de Fonseca, Gran Maestro dal 1743 al 1773, con cui Cagliostro era in rapporto di amicizia).
Se sono quindi certi i loro rapporti con la più potente setta gnostica musulmana, ciò potrebbe essersi limitato ad un fatto politico ma non sarebbe possibile escludere un incontro anche sul piano culturale e religioso in un luogo già di per sé saturo di pensiero gnostico cristiano qual’era la Siria.
Né si deve dimenticare che proprio Sinān, il maggiore esponente degli Ismaeliti contemporaneo all’epoca di fondazione dell’Ordine del Tempio (visse fra il 1140 e il 1192), fu proprio colui il quale portò la riforma del pensiero della setta al suo più alto livello, proclamando la fine del Periodo dell’Occultamento, durante il quale l’Imam, incarnazione in terra della Potenza Suprema, era occulto, e l’inizio del ciclo della Rivelazione, nella quale lo stesso Sinān si identificava con il Signore dell’Essere (Filippani pagg. 205 ss.); il passaggio al ciclo della Rivelazione significa il passaggio dal tempo della Legge, šarī’a, al tempo della Verità, cioè della manifestazione esteriore della conoscenza occulta, bātin (Filippani pag. 228). E proprio Sinān inviò “un’ambasceria al re di Gerusalemme Amalrico I per chiedergli di inviare missionari fra gli Ismaeliti, onde insegnare loro la religione cristiana e convertirli” (Filippani pag. 210).
Nello stesso periodo il califfo di Bagdad an-Nāsir (1180-1225; il califfato di Bagdad era il centro della fede sunnita, opposta a quella šī’ita) ”promuove l’istituzione cavalleresca della futuwwa, di ispirazione nettamente šī’ita … invitando tutti i principi dell’Islam a parteciparvi” (Filippani pag. 231 – contiamo di tornare sulla futuwwa e l’Ordine del Tempio in un prossimo articolo).
Si potrebbe vedere un rapporto tra la richiesta di missionari da parte di Sinān ed i suoi rapporti con i Templari? E come mai proprio in quel tempo si ebbe un importante sviluppo della futuwwa, questa forma di Cavalleria islamica in tutto e per tutto analoga a quella occidentale, ma con aspetti esoterici ben manifesti a differenza di essa, tanto da potersi definire “Cavalleria spirituale” ? (così traduce Sassi il titolo del testo di Sulamī sui principii della Cavalleria islamica Kitāb-ul-Futuwwa - La cavalleria spirituale, Luni, Milano 1998)
Sono tutti elementi o meglio coincidenze che lasciano da pensare, anche se non si hanno prove storiche di certezza, che “qualcosa” sia avvenuto in un periodo di tempo poco successivo la fondazione ufficiale dell’Ordine del Tempio e comunque anteriore all’inizio della sua decadenza, che alcuni Autori fanno risalire al tempo del Gran Maestro Thomas Bérard, come prima si è detto. Questo “qualcosa” potrebbe consistere nel passaggio di idee della gnosi šī’ita almeno ai livelli superiori di gerarchia dell’Ordine e viceversa.
Né i Templari furono del tutto immuni da contatti con il pensiero gnostico occidentale, a quel tempo affermatosi nel sud della Francia con i Catari, possibile conseguenza dell’alterazione dell’articolo 63 della Regola primitiva dell’Ordine nella sua traduzione in francese, in cui la soppressione del “non” presente nella Regola latina trasformò il senso della frase originaria in un esplicito “se avranno udito di un raduno di cavalieri scomunicati si rechino lì” (si veda in proposito il nostro commento alla Regola primitiva dell’Ordine del Tempio, Simmetria, Roma 2010).
Alcuni capi d’accusa al processo erano indicativi di usanze dei Catari, o perlomeno attribuite a loro nella comune credenza popolare, quale la mancanza di rispetto alla Croce (Barber pag. 231), l’implicita negazione del sacramento della Comunione nell’omissione delle parole di consacrazione durante la Messa (pag. 236), l’uso di una cordicella legata in vita, santificata a dire degli accusatori nel caso dei Templari dal contatto con il Baphomet (ibidem), la pratica dell’omosessualità (pag. 239).
Di tutte queste accuse in base alle testimonianze rese è la prima, lo sputare, urinare o calpestare la croce, usanza come già detto che aveva la sua lontana origine nella setta gnostica degli Ofiti a quanto riferisce Origene (“nessuno è ammesso nel loro consesso senza aver prima pronunziato maledizioni contro Gesù” Contra Celsum VI 28), ad essere sicuramente attestata, sia pure con notevoli varianti, nella cerimonia di investitura del Templare anche se va forse considerata come una prova estrema per comprendere il comportamento del nuovo Cavaliere (Frale I Templari, pagg. 135-143),.
Dunque non possiamo escludere che una parte della gerarchia dell’Ordine (difficile pensare ai gradi inferiori, in genere costituiti da uomini di scarsa cultura) avesse ceduto ad infiltrazioni gnostiche šī’ite, catare o addirittura proto cristiane, quale lo gnosticismo ofita. Ma non si può affermare, a nostro avviso, che tutto l’Ordine si fosse trasformato in una setta gnostica, nella quale il neofita fin dal momento della sua ammissione veniva ammesso, a sua completa insaputa in base a quanto ci dicono le testimonianze, con rituali che gli dovevano certamente risultare incomprensibili.
Allora, cerchiamo di rispondere alla domanda che ci siamo posti: quali Templari dobbiamo riconoscere raffigurati nel giardino di Saonara? L’iter che abbiamo ricostruito non ha per centro il vero Ordine del Tempio, quale esso fu in realtà, ma venne adoperato il “mito templare”, sulla scia di quel revival romantico di quanto era medievale che venne di moda nella letteratura come in architettura tra la seconda metà del ‘700 e la prima metà dell’800, come aspetto esteriore di un rituale non templare ma riferibile ad un “alto grado” della Massoneria dell’epoca, forse correlato a forme connesse a pratiche provenienti dal Vicino Oriente.
Altri rituali, ma differenti nel contenuto e precedenti o seguenti a questo secondo il metro temporale, avrebbero avuto analoga origine, come il rituale della Scala di Napoli o Arcana Arcanorum, proveniente (per quanto è dato sapere ai profani) nella metà del ‘700 dalle isole veneziane in stretto contatto con l’Impero ottomano, regione dalla quale, ad esempio, all’inizio del 1900 sarebbe provenuta quella tecnica della “massoneria turca” presentata in un suo libro dal barone von Sebottendorf, fondatore della Thule Gesellschaft (La pratica operativa dell’antica massoneria turca, Il Delfino, Torino 1980 – I ed. Lipsia s. d., ma sicuramente prima del 1928, poiché il testo è argomento di un articolo di Arvo del 1928, riprodotto in Introduzione alla Magia vol. II pagg. 118 ss., Mediterranee Roma 1971).
In ogni caso, sia del tutto o in parte valido quanto abbiamo cercato di ricostruire, ciò che importa è che il giardino di Villa Vigodarzere rimane una tappa, sia pure insolita, nella lunga storia dell’Ordine del Tempio, a significare quanto i Cavalieri Templari siano ancora presenti a distanza di tanti secoli dallo scioglimento del loro Ordine e quanto potente sia il “mito” che essi, forse senza volerlo, hanno saputo creare.
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