| Nella Comunione del nostro Venerabile Rito risulta condizione poco   comprensibile quella di alcuni che mostrano di non aver a sufficienza lavorato a   sgrossare la pietra del proprio Ego, il quale spunta fuori assai spesso a   detrimento della loro stessa crescita e dell’armonia che deve imperare tra   coloro che insieme compiono un cammino esoterico e spirituale. Fra l’altro tale   condizione non permette neanche di incidere beneficamente sulle cose del mondo   profano e della società odierna: una realtà oggi piagata, siccome non sono più i   valori etici fondamentali a dare forma alla morale corrente. Nel nostro mondo   occidentale, soprattutto, territorio del progresso tecnico avanzato, si è dediti   in modo sfrenato ai piaceri terreni e del tutto lontani e disattenti ai richiami   dello spirito.  È doveroso che ognuno di noi incoraggi e solleciti l’accrescimento dell’amore e   dell’attaccamento al Ns. Venerabile Rito. Il primo gesto fattivo da compiere,   qualora appaiano controversie o dissapori, il che può verificarsi tra esseri   umani perfettibili ma non perfetti, è quello di mettersi in posizione di sosta e   di silenzio nell’attesa che le acque si quietino, affinché le poche e meditate   parole da dire colpiscano poi meglio l’attenzione e riportino la necessaria   armonia. Può correre talora anche un benevolo e benefico rimprovero, una   necessaria correzione: se uno ne resta ferito, è segno che in esso vi sono amore   e sollecitudine. Ma se il rimprovero gli passa sopra e non lo tocca, vuol dire   che amore e sollecitudine sono assenti. In un tappeto che venga scosso per   levare la polvere, gli uomini sagaci non vedono una battitura, bensì un segno di   cura che in tal modo si manifesta. E comunque, se uno vede il proprio Fratello   in difetto, sappia egli che quel difetto esiste anche in lui. Il saggio non è   diverso da uno specchio. Quel che vede nel Fratello che ha sbagliato è la sua   stessa immagine.     Muovendosi,   occorre camminare con la cautela di un sufi, concentrato soltanto sul passo che   sta facendo, senza farsi distrarre dal panorama o dalla preoccupazione del passo   successivo. Poiché la Fratellanza ci permette di superare gli ostacoli e le   ingiustizie della vita, occorre essere in grado di guardare negli occhi un   Fratello senza provare turbamento, senza arrossire, in pieno rispetto. I nostri   Rituali hanno forza sufficiente a creare in noi la certezza che si è partecipi   degli stessi principi e delle stesse energie che ci fanno crescere e camminare   sulla stessa strada: solitariamente in compagnia, ma sereni.      Sarà opportuno crescere a tal punto da avere all’interno di noi, non solo   esternamente, il carico dei segni che portiamo addosso con gli addobbi e le   insegne che indossiamo. Salendo nei Gradi, non vi è aumento alcuno di un qualche   potere, ma soltanto accrescimento di servizio da rendere. Siano il linguaggio   per chi ci vede atto a esaurire il significato e il valore dei segni interiori.   Siano la rappresentazione delle qualificazioni interiori di ognuno di noi,   capaci di dare un’armonica dimensione di quel che siamo in unione di spirito e   in stimoli di vera Fratellanza. «Io sono questo!», dicono le insegne e occorre   essere quello. Inutile esibire insegne che non rispecchiano la condizione   interiore di chi le indossa. Liberi da preoccupazioni profane, si esperimenta   allora, e solo nel vivere in pieno il Rituale, Parola dopo Parola, così come è   concepito e steso, che quel che si dice ha senso logico, efficacia operativa. Ci   si rende conto che niente è affidato al vento, ma tutto è consegnato al fiato in   sostanza di spirito. Solo allora i nostri strumenti di Lavoro e le nostre   insegne aderiscono al loro profondo significato e la parola pronunciata o il   gesto compiuto sono mattoni e malta validi alla costruzione del Tempio. È così   che si realizza il nostro destino di iniziati dediti al costruire, dedicati alla   continua demolizione del dubbio: presenza che ci affligge, della quale dobbiamo   occuparci, senza preoccuparcene.       I Liberi Muratori sono tenuti a contribuire alla soluzione dei problemi   che affliggono l’Umanità. Pur lavorando solo con gli strumenti che la Tradizione   ci porge, siamo capaci di adeguarci ai tempi in modo di fare le stesse cose in   modo diverso: Eadem sed aliter. In seno alle nostre Camere non entrano i   risultati della scienza moderna o della tecnologia. I nostri strumenti sono   primitivi, attengono alla nostra condizione di esseri umani che in Loggia o   nella Camera di qualsiasi Grado usano l’intuizione e la memoria: strumenti di   natura umana non toccata dall’industria o dallo sfruttamento della scienza per   modificarli, farne protesi, aumentarne l’operatività, accelerarne i frutti. A   contatto con il Cosmo, ci muoviamo via dall’orologio e dalla dimensione dello   spazio, coscienti però che la vita è un’altra cosa: dato di fatto da non perdere   di vista. Crescendo, possiamo favorire e procurare il progresso. Il prodotto   della nostra vita di Loggia o di Camera non è soggetto a invecchiamento o a   cambiamento, come succede alle innovazioni tecnologiche. Il progresso non è   illusione, allora, e i prodotti hanno attinenza con il continuum: non   sono precari. Coscienti che i traguardi che l’Uomo può raggiungere sono caduchi   se non legati all’Invisibile, al Supremo Fattore. Vivere in pieno la propria   iniziazione significa dunque lavorare per migliorare se stessi al fine di   rendere migliore il mondo.       In questi momenti di confusione, noi Fratelli del Memphis riceviamo   conforto dal tenere gli occhi rivolti allo Zenit, non come facevamo da   Apprendisti, appena ricevuta l’iniziazione, nel silenzio e nella fatica di   sgrossare la Pietra, bensì da Maestri assidui nel Lavoro della ricerca di un   contatto con la Divinità, parlanti per esprimere quei barlumi di verità che   siamo capaci di cogliere e comunicare agli altri Fratelli. Misterioso è il   conforto che ne riceviamo: misterioso ed estraneo ai profani che non lo   capiscono.     Che cosa è morale, dunque, nella vita di un Libero Muratore, e in questo   caso di un Maestro dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim? La morale   è legata alla conoscenza, quella che ci permette di distinguere il vero dal   falso, quella che ci indica la giusta, dritta via che ci fa stare nella realtà   praticando giustizia e verità. La conoscenza è madre della morale, poiché ci   procura i motivi per compiere certe azioni anziché altre. Ci si muove allora   partendo dal pensiero, che richiede l’intervento della volontà per finalmente   compiere un’azione. È opportuno muoverci restando all’altezza degli ideali che nutriamo, migliorando i   nostri rapporti con gli altri al fine di rendere migliore il nostro rapporto con   il mondo. Morale è che il nostro bene e il nostro buon modo di vivere non   depredi altri del loro benestare.       Le nostre radici sono mediterranee, e proprio per questo vale la pena   ricordare quanto grande fosse la stima e la dignità che gli antichi sapienti   avevano in Grecia e nel Lazio della Morale, scienza che si occupa del Bene, ma   alquanto trascurata nel mondo profano, e, fatto ancor più grave, negletta talora   anche nel mondo della Libera Muratoria. Volendo rintracciare ed esporre le   ragioni di tale fenomeno triste e funesto, dovremmo parlare del sensismo,   teorizzato da alcuni filosofi, che ha ridotto tutti gli elementi più nobili   dell’animo alla sola facoltà del sentire, apportando così tanto materialismo   nella teorica e nell’umano operare. Quando non vi è altro che senso, è naturale   che ci si occupi solo della coltura e dell’appagamento di esso. Le idee di   dovere e di virtù, di ordine e di giustizia non fanno che secondaria comparsa   nella scena della vita, semmai vi si siano introdotte, e quasi a forza! In   questo sistema l’interesse e il piacere devono essere tutto, in modo che abbiano   dominio solo i beni che rispondono all’elemento sensitivo. Se si parla di virtù,   allora, e spesso la si nomina, è per considerarla mezzo e non fine, strumento   del raggiungimento della soddisfazione dei sensi. In tal modo la Morale non è   regina, ma serva. Si parla allora di eudemonologia, come a dire di felicità, ma   non della  virtù. I sensi assopiscono l’intelligenza, evitando ad   essa le fatiche da affrontare nel disbrigo della vita. Si arriva persino a   schernire chi colla voce o gli scritti inneggi alla maestà della Morale. Certo,   essa è meno attraente del piacere, non lusinga quanto può fare una persona   bella, sana e vigorosa, né fa innamorare di sé, se non pochi spiriti eletti.   Certo, essa ha base sulle astrattezze, su operazioni squisitamente   intellettuali, su elementi che non sono base solida alla formazione e alla vita   di una scienza come è la Morale. Ma un iniziato, come è il Libero Muratore,   dovrebbe fare questo ragionamento: fra il me libero, fenomeno individuale e   finito, e il Grande Architetto, sostanza assoluta e infinita, vi è un forte   legame, un tramite: la pratica del Vero, del Bello e del Bene. Tale pratica non   può essere disgiunta dal Supremo Costruttore dei Mondi. Afferrare la realtà per   poter essere costruttivi e positivi: non si fa solo con l’intelligenza, quindi   con il pensiero, con una semplice attività speculativa, ma anche con l’attività   dello spirito e della volontà: le verità divengono allora morali, scendono nel   campo pratico e grazie all’azione il Vero diventa il Bene. Queste verità   diventano leggi della nostra volontà, alla quale si deve un obbligo assoluto.   Esse ricevono legittimazione dal Grande Architetto ed è in tal modo che a loro   corrisponde una realtà, dunque una concretezza. Non si può costruire una Morale   se non su principi che le diano consistenza. E i principi discendono per   emanazione, e per via della creazione, dal Grande Architetto che solo li incarna   nella nostra realtà, dentro alla quale la nostra intuizione li avverte e li   pesca.       Fossimo puri spiriti, la sola verità ci basterebbe, ma legati a questo   animale morente, questa fragile spoglia che noi siamo e dalla quale dipendiamo,   il puro vero deve incarnarsi, avere un aspetto appariscente e attraente,   affinché, convincendo la mente e commuovendo il cuore possa esercitare il suo   benefico influsso. Così formati, con il Lavoro di Loggia, con la macerazione   nella varie Camere del nostro Venerabile Rito, riusciremo ad adattare i buoni   principi ai bisogni del mondo profano, dove è necessario arrivi il nostro   messaggio, dove è opportuno si divenga modelli di buon comportamento e sano   operare. Ecco che la Legge Morale si unifica con il Supremo Costruttore dei   Mondi dal quale essa parte; da quell’Essere Supremo che nella Sua universalità   abbraccia tutti gli uomini in qualunque stato e condizione si   trovino.      Che il cammino iniziatico da noi intrapreso abbia svolgimento nel vigore   e nella bellezza al fine di raccogliere maggiori e preziosi frutti utili alla   nostra crescita spirituale.                                                                                                                                                                                                     Il   Grande Oratore Ministro di Stato Manrico Murzi                                                a Roma il   diciassettesimo giorno del mese di Athyr, nell’anno 3302 della Luce   d’Egitto |