Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraïm
       Sovrano Santuario Italiano



III° CONVENTO INTERNAZIONALE DELL'A:.P:.R:.M:.M:.

 

(M. Murzi)Le origini storiche degli Arcana Arcanorum


 



 

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Relazione morale

verità come leggi della nostra volontà

 

                                                                           Un uccellino si posò sopra un monte, poi volò alto nel cielo.

C‘è da chiedersi di quanto il monte si sia arricchito prima per l'avvento                                                                                                         impoverito dopo per la dipartita di quella piccola cosa.   (Rūmi)

  

Nel nostro Lavoro di affinamento, Fratelli carissimi, abbiamo antenati e saremo antenati; siamo discendenti e avremo discendenti. Questo è il senso della Tradizione: ricevere e trasmettere. Nel giuoco perpetuo dei Rituali, con le ripetizioni di tanto in tanto emananti qualche nuova sonorità, i significati e le vibrazioni imprimono moto ai cicli dello spirito, danno spinta ai cerchi della Fraternità.  È importante che, come l’alchimia del Sé pretende sia nel Lavoro individuale che in quello comunitario, i metalli siano depositati, abbandonati: doveroso gesto da compiere, tanto più all’ingresso di ogni Camera del nostro Venerabile Rito. Tale azione facilita la magia e la trasformazione del Sé. Nel nostro cammino non dobbiamo inciampare nei simboli, che vanno tenuti invece davanti agli occhi della mente come verità, modelli che occupino la nostra speculazione, impegnino tutte le energie intellettuali per una crescita che dia forza e chiarezza. Nessuno detiene la verità, lo sappiamo, ma è sufficiente soddisfazione avvicinarsi sempre di più ad essa, anche se di poco. Forse non arriveremo mai a dirci parole definitive sulla nostra vita e sulla nostra morte. Rifiutiamo comunque le rassicuranti certezze delle religioni: per questo poche Chiese ci amano. Né affermare di non aver certezze ci mette in braccio all’oggi  tanto deprecato Relativismo: dire di non saper niente di preciso, non è dire che tutto è relativo. Uno degli aggettivi qualificativi che il nostro Lavoro di ricerca ci procura è quello di secolari, l’unico che accettiamo volentieri, nel senso che detestiamo la condizione di chierici.

Nella Comunione del nostro Venerabile Rito risulta condizione poco comprensibile quella di alcuni che mostrano di non aver a sufficienza lavorato a sgrossare la pietra del proprio Ego, il quale spunta fuori assai spesso a detrimento della loro stessa crescita e dell’armonia che deve imperare tra coloro che insieme compiono un cammino esoterico e spirituale. Fra l’altro tale condizione non permette neanche di incidere beneficamente sulle cose del mondo profano e della società odierna: una realtà oggi piagata, siccome non sono più i valori etici fondamentali a dare forma alla morale corrente. Nel nostro mondo occidentale, soprattutto, territorio del progresso tecnico avanzato, si è dediti in modo sfrenato ai piaceri terreni e del tutto lontani e disattenti ai richiami dello spirito.

È doveroso che ognuno di noi incoraggi e solleciti l’accrescimento dell’amore e dell’attaccamento al Ns. Venerabile Rito. Il primo gesto fattivo da compiere, qualora appaiano controversie o dissapori, il che può verificarsi tra esseri umani perfettibili ma non perfetti, è quello di mettersi in posizione di sosta e di silenzio nell’attesa che le acque si quietino, affinché le poche e meditate parole da dire colpiscano poi meglio l’attenzione e riportino la necessaria armonia. Può correre talora anche un benevolo e benefico rimprovero, una necessaria correzione: se uno ne resta ferito, è segno che in esso vi sono amore e sollecitudine. Ma se il rimprovero gli passa sopra e non lo tocca, vuol dire che amore e sollecitudine sono assenti. In un tappeto che venga scosso per levare la polvere, gli uomini sagaci non vedono una battitura, bensì un segno di cura che in tal modo si manifesta. E comunque, se uno vede il proprio Fratello in difetto, sappia egli che quel difetto esiste anche in lui. Il saggio non è diverso da uno specchio. Quel che vede nel Fratello che ha sbagliato è la sua stessa immagine.

   Muovendosi, occorre camminare con la cautela di un sufi, concentrato soltanto sul passo che sta facendo, senza farsi distrarre dal panorama o dalla preoccupazione del passo successivo. Poiché la Fratellanza ci permette di superare gli ostacoli e le ingiustizie della vita, occorre essere in grado di guardare negli occhi un Fratello senza provare turbamento, senza arrossire, in pieno rispetto. I nostri Rituali hanno forza sufficiente a creare in noi la certezza che si è partecipi degli stessi principi e delle stesse energie che ci fanno crescere e camminare sulla stessa strada: solitariamente in compagnia, ma sereni.

   Sarà opportuno crescere a tal punto da avere all’interno di noi, non solo esternamente, il carico dei segni che portiamo addosso con gli addobbi e le insegne che indossiamo. Salendo nei Gradi, non vi è aumento alcuno di un qualche potere, ma soltanto accrescimento di servizio da rendere. Siano il linguaggio per chi ci vede atto a esaurire il significato e il valore dei segni interiori. Siano la rappresentazione delle qualificazioni interiori di ognuno di noi, capaci di dare un’armonica dimensione di quel che siamo in unione di spirito e in stimoli di vera Fratellanza. «Io sono questo!», dicono le insegne e occorre essere quello. Inutile esibire insegne che non rispecchiano la condizione interiore di chi le indossa. Liberi da preoccupazioni profane, si esperimenta allora, e solo nel vivere in pieno il Rituale, Parola dopo Parola, così come è concepito e steso, che quel che si dice ha senso logico, efficacia operativa. Ci si rende conto che niente è affidato al vento, ma tutto è consegnato al fiato in sostanza di spirito. Solo allora i nostri strumenti di Lavoro e le nostre insegne aderiscono al loro profondo significato e la parola pronunciata o il gesto compiuto sono mattoni e malta validi alla costruzione del Tempio. È così che si realizza il nostro destino di iniziati dediti al costruire, dedicati alla continua demolizione del dubbio: presenza che ci affligge, della quale dobbiamo occuparci, senza preoccuparcene.

   I Liberi Muratori sono tenuti a contribuire alla soluzione dei problemi che affliggono l’Umanità. Pur lavorando solo con gli strumenti che la Tradizione ci porge, siamo capaci di adeguarci ai tempi in modo di fare le stesse cose in modo diverso: Eadem sed aliter. In seno alle nostre Camere non entrano i risultati della scienza moderna o della tecnologia. I nostri strumenti sono primitivi, attengono alla nostra condizione di esseri umani che in Loggia o nella Camera di qualsiasi Grado usano l’intuizione e la memoria: strumenti di natura umana non toccata dall’industria o dallo sfruttamento della scienza per modificarli, farne protesi, aumentarne l’operatività, accelerarne i frutti. A contatto con il Cosmo, ci muoviamo via dall’orologio e dalla dimensione dello spazio, coscienti però che la vita è un’altra cosa: dato di fatto da non perdere di vista. Crescendo, possiamo favorire e procurare il progresso. Il prodotto della nostra vita di Loggia o di Camera non è soggetto a invecchiamento o a cambiamento, come succede alle innovazioni tecnologiche. Il progresso non è illusione, allora, e i prodotti hanno attinenza con il continuum: non sono precari. Coscienti che i traguardi che l’Uomo può raggiungere sono caduchi se non legati all’Invisibile, al Supremo Fattore. Vivere in pieno la propria iniziazione significa dunque lavorare per migliorare se stessi al fine di rendere migliore il mondo.

   In questi momenti di confusione, noi Fratelli del Memphis riceviamo conforto dal tenere gli occhi rivolti allo Zenit, non come facevamo da Apprendisti, appena ricevuta l’iniziazione, nel silenzio e nella fatica di sgrossare la Pietra, bensì da Maestri assidui nel Lavoro della ricerca di un contatto con la Divinità, parlanti per esprimere quei barlumi di verità che siamo capaci di cogliere e comunicare agli altri Fratelli. Misterioso è il conforto che ne riceviamo: misterioso ed estraneo ai profani che non lo capiscono.

  Che cosa è morale, dunque, nella vita di un Libero Muratore, e in questo caso di un Maestro dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim? La morale è legata alla conoscenza, quella che ci permette di distinguere il vero dal falso, quella che ci indica la giusta, dritta via che ci fa stare nella realtà praticando giustizia e verità. La conoscenza è madre della morale, poiché ci procura i motivi per compiere certe azioni anziché altre. Ci si muove allora partendo dal pensiero, che richiede l’intervento della volontà per finalmente compiere un’azione. È opportuno muoverci restando all’altezza degli ideali che nutriamo, migliorando i nostri rapporti con gli altri al fine di rendere migliore il nostro rapporto con il mondo. Morale è che il nostro bene e il nostro buon modo di vivere non depredi altri del loro benestare.

   Le nostre radici sono mediterranee, e proprio per questo vale la pena ricordare quanto grande fosse la stima e la dignità che gli antichi sapienti avevano in Grecia e nel Lazio della Morale, scienza che si occupa del Bene, ma alquanto trascurata nel mondo profano, e, fatto ancor più grave, negletta talora anche nel mondo della Libera Muratoria. Volendo rintracciare ed esporre le ragioni di tale fenomeno triste e funesto, dovremmo parlare del sensismo, teorizzato da alcuni filosofi, che ha ridotto tutti gli elementi più nobili dell’animo alla sola facoltà del sentire, apportando così tanto materialismo nella teorica e nell’umano operare. Quando non vi è altro che senso, è naturale che ci si occupi solo della coltura e dell’appagamento di esso. Le idee di dovere e di virtù, di ordine e di giustizia non fanno che secondaria comparsa nella scena della vita, semmai vi si siano introdotte, e quasi a forza! In questo sistema l’interesse e il piacere devono essere tutto, in modo che abbiano dominio solo i beni che rispondono all’elemento sensitivo. Se si parla di virtù, allora, e spesso la si nomina, è per considerarla mezzo e non fine, strumento del raggiungimento della soddisfazione dei sensi. In tal modo la Morale non è regina, ma serva. Si parla allora di eudemonologia, come a dire di felicità, ma non della  virtù. I sensi assopiscono l’intelligenza, evitando ad essa le fatiche da affrontare nel disbrigo della vita. Si arriva persino a schernire chi colla voce o gli scritti inneggi alla maestà della Morale. Certo, essa è meno attraente del piacere, non lusinga quanto può fare una persona bella, sana e vigorosa, né fa innamorare di sé, se non pochi spiriti eletti. Certo, essa ha base sulle astrattezze, su operazioni squisitamente intellettuali, su elementi che non sono base solida alla formazione e alla vita di una scienza come è la Morale. Ma un iniziato, come è il Libero Muratore, dovrebbe fare questo ragionamento: fra il me libero, fenomeno individuale e finito, e il Grande Architetto, sostanza assoluta e infinita, vi è un forte legame, un tramite: la pratica del Vero, del Bello e del Bene. Tale pratica non può essere disgiunta dal Supremo Costruttore dei Mondi. Afferrare la realtà per poter essere costruttivi e positivi: non si fa solo con l’intelligenza, quindi con il pensiero, con una semplice attività speculativa, ma anche con l’attività dello spirito e della volontà: le verità divengono allora morali, scendono nel campo pratico e grazie all’azione il Vero diventa il Bene. Queste verità diventano leggi della nostra volontà, alla quale si deve un obbligo assoluto. Esse ricevono legittimazione dal Grande Architetto ed è in tal modo che a loro corrisponde una realtà, dunque una concretezza. Non si può costruire una Morale se non su principi che le diano consistenza. E i principi discendono per emanazione, e per via della creazione, dal Grande Architetto che solo li incarna nella nostra realtà, dentro alla quale la nostra intuizione li avverte e li pesca.

   Fossimo puri spiriti, la sola verità ci basterebbe, ma legati a questo animale morente, questa fragile spoglia che noi siamo e dalla quale dipendiamo, il puro vero deve incarnarsi, avere un aspetto appariscente e attraente, affinché, convincendo la mente e commuovendo il cuore possa esercitare il suo benefico influsso. Così formati, con il Lavoro di Loggia, con la macerazione nella varie Camere del nostro Venerabile Rito, riusciremo ad adattare i buoni principi ai bisogni del mondo profano, dove è necessario arrivi il nostro messaggio, dove è opportuno si divenga modelli di buon comportamento e sano operare. Ecco che la Legge Morale si unifica con il Supremo Costruttore dei Mondi dal quale essa parte; da quell’Essere Supremo che nella Sua universalità abbraccia tutti gli uomini in qualunque stato e condizione si trovino.

   Che il cammino iniziatico da noi intrapreso abbia svolgimento nel vigore e nella bellezza al fine di raccogliere maggiori e preziosi frutti utili alla nostra crescita spirituale.                                               

                                       

 

                                                                                                       Il Grande Oratore Ministro di Stato Manrico Murzi

                                             a Roma il diciassettesimo giorno del mese di Athyr, nell’anno 3302 della Luce d’Egitto

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Principessa Kaoru Nakamaru Prof. Manrico Murzi