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(P. Galiano)Il senso nascosto


 



 

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Sul possibile significato esoterico degli scritti del Principe di San Severo

di Paolo Galiano©

(testo inedito estratto dal saggio dell’Autore di prossima pubblicazione per le
Edizioni Simmetria di Roma Raimondo De Sangro e gli Arcana Arcanorum)

Le fonti principali per preparare un elenco delle opere scritte dal Principe di San Severo comprende, oltre i testi stampati che ci sono pervenuti, le notizie che possiamo attingere dagli scritti dei suoi contemporanei, scritti che per altro si ritiene siano stati in buona parte ispirati se non elaborati dallo stesso Raimondo e poi pubblicati sotto altro nome, come nel caso della biografia che si trova sia nella sua Lettera Apologetica 1 e nel secondo volume della Istoria dello Studio di Napoli di Giuseppe Origlia 2, o anonimi, come nel caso della Breve nota di ciò che si vede nella casa del Principe di San Severo 3, a cui si devono aggiungere altre due opere a lui attribuite secondo la Sansone Vagni 4 (citata come SV) ed altri autori.
Delle 19 opere scritte da Raimondo o a lui attribuite solo nove (in realtà otto se si considera che le Lettere a Giraldi e le Lettres all’Abbè Noillet in pratica coincidono) sono giunte fino a noi, di due delle quali non è certa l’attribuzione; questa la lista dei titoli, preceduti dalla data di pubblicazione:
1 - (SV 1746) RELAZIONE DELLA COMPAGNIA DE’ LIBERI MURATORI: attribuita a Raimondo e stampata quasi certamente nella sua tipografia  (ristampa Foggia 1973)
2 -  1747 PRATICA PIÙ AGEVOLE E PIÙ UTILE DI ESERCIZI MILITARI PER L’INFANTERIA: per quest’opera ricevette una lettera di ringraziamenti e di complimenti da Federico di Prussia, al quale il libro era stato dedicato.
3 - 1750 LETTERA APOLOGETICA… CONTENENTE LA DIFESA DEL LIBRO INTITOLATO LETTERE D’UNA PERUANA (ristampata a Napoli nel 2002 a cura di L. Spruit).
4 - (SV 1751) COSTITUZIONI DELLE LOGGE D’INGHILTERRA… STATUTI DEI TRE ALTI GRADI di Maestro Scozzese, Eletto e della Sublime Filosofia: il testo è attribuito a Raimondo ed è stato reperito dal Soriga nell’Archivio Vaticano; di esso Bramato ha pubblicato nel 1980 la parte riguardante le Logge Scozzesi 5.
5 - 1751 EPISTOLA DI RAIMONDO DE SANGRO AL PONTEFICE BENEDETTO XIV per scagionarsi della sua appartenenza alla Massoneria (riportata da Origlia pagg. 354 - 360).
6 - 1752 LETTERE… SOPRA ALCUNE SCOPERTE CHIMICHE INDIRIZZATE AL SIGNOR CAVALIERE GIOVANNI GIRALDI FIORENTINO: furono in parte pubblicate nelle Novelle letterarie fiorentine tra il 1753  e il 1754, a quanto riporta Origlia a pag. 375 (ristampate a Napoli a cura di Crocco nel 1969, grazie al ritrovamento degli originali). La scoperta del “Lume eterno”, di cui si parla in queste Lettere, dovrebbe però risalire al 1751, stando a quanto scrive Origlia a pag. 376.
7 - 1753 LETTRES ECRITES… A MONSIEUR L’ABBÉ NOILLET: traduzione in francese fatta dal Principe delle lettere inviate al Giraldi e dedicate allo scienziato francese Nollet (Origlia pag. 375).
8 - 1753 SUPPLICA DI RAIMONDO DI SANGRO… ALLA SANTITÀ DI BENEDETTO XIV per domandare che la sua Lettera apologetica venisse cancellata dalle liste dell’Indice dei libri proibiti, il che però non ottenne; essa contiene le risposte alle accuse di eresia mossegli dal “Ponderante” e da altri suoi nemici a proposito di questa opera (ristampata a Napoli a cura di Spruit nel 2006).
9 - 1756 DISSERTATION SUR UNE LAMPE ANTIQUE TROUVÉE A MÜNICH EN L’ANNÈE 1753: costituisce la seconda parte delle Lettres pubblicate nel 1753 (ristampata in traduzione italiana a Foggia 1999 a cura di Lacerenza).

            A queste nove opere andrebbero ne aggiunte altre dieci di cui però abbiamo solo i titoli o gli argomenti ma che per diverse ragioni non furono completate dal Principe:

  1. 1742 - 1750 GRAN VOCABOLARIO UNIVERSALE DELL’ARTE DELLA GUERRA in 6 volumi: opera non pervenuta, che Raimondo non portò a compimento ma sospese nel 1750 quando era giunto alla lettera O.
  2. 1741 (SV 1747-48) PROGETTO D’UNA MULTIPLICE DIFESA INTERNA: opera che Origlia (pag. 327) riferisce all’anno.
  3. (SV 1748-49) DISSERTAZIONE INTORNO AGLI ERRORI DI BENEDETTO SPINOZA (Origlia pag. 384 – 385).
  4. (SV 1748-49) SERIE DI LETTERE SUCCESSIVAMENTE INDIRIZZATE AD UN LIBERO PENSATORE, (Origlia pag. 384.
  5. (SV 1748-49) DIALOGHI CRITICI INTORNO ALLA VITA DI MAOMETTO (Origlia pag. 384.
  6. (SV 1749-50) VERA CAGIONE PRODUTTRICE DELLA LUCE, (Origlia pag. 385), ma secondo La lettera apologetica pagg. 208 – 209 doveva esserne prossima la pubblicazione in stampa: “deliberato avendo il degnissimo Autore di farlo a tutti comune col darlo alle stampe”.
  7. (prima del 1750)  TRATTATO DI PIROTECNIA: di esso si accenna solo ne La lettera apologetica (pag. 216).
  8. (sicuramente prima del 1756) ANTI TOLANDO “per confutarsi in essa [opera] la dissertazione dell’Origini Giudaiche di Giovanni Tolando inglese” (Origlia pagg. 484 – 384).
  9. (successiva al 1750, data di pubblicazione della Lettera apologetica) LETTERE SCRITTE ALLA MARCHESA S*** DI ROMA (Origlia pag. 385).
  10. (certamente intorno al 1752-1753, data in cui si scatenò l’offensiva contro la Lettera apologetica) LETTERA AL PONDERANTE (questo il nome dell’autore con cui erano stati pubblicati diversi  libelli contro la Lettera apologetica, in realtà l’abate Innocenzo Molinari, forse in collaborazione con il cardinale Giuseppe Spinelli, arcivescovo di Napoli 6 - Origlia pag. 386 la riferisce come pubblicata “in altra città italiana”, senza specificare quale).

La lettura di questi scritti è di per sé sicuramente interessante: essi possono essere letti come resoconti scientifici o come saggi di letteratura e di certo da questo punto di vista sono aderenti alle conoscenze della sua epoca.
Ma questo non è il solo modo di lettura possibile perché lo stesso Raimondo ci indica la possibilità di una diversa interpretazione, quando alla fine della Lettera apologetica sui Quipu scrive alla dotta Dama per la quale ha composto il suo lavoro: “Mi fa lieto solamente il pensare che non potrete altri comunicare [la mia lettera], giacché la maggior parte delle cose ci si trova in tal gergo conceputa, che appena può essere a Voi intelligibile, cui i miei sentimenti sono stati sempre aperti” (pag. 318).
Ricordiamo tra l’altro che questa frase fu una delle basi per l’accusa che gli venne mossa di avere fatto un’opera cabalistica ed eretica, tanto che alla fine la Lettera fu iscritta all’Indice dei libri proibiti.
Molti esempi si potrebbero trarre dai suoi scritti circa una possibile decriptazione del testo, a cominciare dal suo progetto di “multiplice difesa”, interpretata da Höbel 7come la conferma della sua adesione alla Massoneria già nell’anno 1741, o la costruzione di una “mensa segreta” di cui si accenna nella Lettera apologetica che potrebbe essere letta come un invito ad una maggiore segretezza nelle agapi massoniche.
Ancora di più si potrebbe ottenere da una lettura attenta dei suoi esperimenti per far rinascere i granchi di fiume calcinati al fuoco di riverbero, un termine usato in Alchimia per parlare di uno dei “fuochi” che si devono adoperare nella “cottura” della Materia prima, esperimenti di palingenesia che potrebbero essere messi in relazione con le tecniche di trasmutazione totale note come Arcana Arcanorum.
Ma tra tutti gli argomenti criptati dal Principe nei suoi scritti quello concernente la “Luce” sembra essere stato per lui il più importante: vediamo un progressivo svolgersi dell’argomento attraverso l’elaborazione di tre lavori, di cui solo due sono arrivati a noi, a partire da una data imprecisata prima del 1750 per concludersi (intendiamo per il pubblico profano) solo nel 1756.
La prima notizia è riportata nel 1750 dalla Duchessa, supposta autrice delle note alla Lettera apologetica, e ripresa nel 1754 da Origlia, i quali parlano di un trattato Sulla vera cagione produttrice della luce, non pubblicato anche se doveva esserne prossima l’edizione “deliberato avendo il degnissimo Autore di farlo a tutti comune col darlo alle stampe”; di questa opera sappiamo soltanto che essa si basava su di una interpretazione del Capitolo Primo del Genesi: come scrive Origlia era “totalmente poggiata sul primo capo del Genesi… in quel capitolo Mosè non spiega che il sistema da lui prodotto con entrar nel vero significato degli ebraici vocaboli”, quindi sembrerebbe uno scritto di carattere cabalistico, nel quale si leggeva il testo ebraico sulla base dei principii della Kabbalah (e il Principe era un buon conoscitore sia della lingua ebraica che della Kabbalah); possiamo solo presumere che fosse un lavoro per certi versi analogo a quello di Fabre d’Olivet sull’interpretazione metarazionale delle radici ebraiche.
Successivamente l’argomento viene ripreso nel 1753 nelle sette lettere inviate dal De Sangro al Cavaliere fiorentino Giraldi, poi riunite in un volume dedicato allo scienziato francese Noillet; nelle sue Lettere a Giraldi   8 il discorso è all’apparenza di carattere scientifico e verte su di una scoperta casuale concernente una materia fatta di “Fosfori” “della consistenza di un butirro molle in tempo di estate” (pag. 3) provenienti dalle ossa umane e in particolare da quelle del cranio (pag. 26), capace di accendersi se accostata ad una fiamma e di durare per un tempo lunghissimo senza mai consumarsi: infatti il Principe spense per accidente la prima dose di essa  dopo 92 o 93 giorni (dal 30 novembre al 2 marzo, per la precisione – pag. 9). Da qui il nome di “Lume eterno o sia perpetuo” dato alla sua scoperta dal Principe (Lettere pag. 18), il quale decise di adoperare tale materiale per fare un Lume perpetuo nella Cappella di famiglia.
Infine la ricerca del Principe si conclude nel 1756 con l’ultimo libro dato alla luce dal Principe Dissertazione su di una lampada antica trovata a Monaco 9: qui il discorso cambia di genere e diventa si potrebbe dire polemico.
Esso parte dalla notizia del  reperimento di una lampada accesa trovata in uno scavo fatto a Monaco di Baviera nel 1753 (pag. 22) e si lancia in una lunga dissertazione sia sulle “lampade perpetue degli antichi” sia sulla composizione dei “fosfori” tratti dalle ossa umane o dall’urina che possono essere collegati ad esse, argomento in parte già trattato nel precedente libro. 

Se seguiamo la linea di un’interpretazione ermetica dei suoi scritti, il Principe intende parlare di una tecnica che consenta di ottenere l’Illuminazione trascendente, e quindi il Lume altro non è che lo stesso Iniziato, il quale deve pervenire ad uno stato di perfezione che non sia instabile e temporaneo, quali i “fuochi delle lampade degli antichi” di cui egli parla, ma fermo e durevole, per divenire, usando le sue stesse parole, un Lume perpetuo. Vediamo attraverso quali tappe si è sviluppata la ricerca del Principe.
L’inizio della sua Opera, stando alle notizie della Lettera apologetica, sarebbe stata una ricerca effettuata sul testo del Genesi, ma forse il Principe rimase insoddisfatto della via cabalistica seguita, insufficiente oppure ormai perduta, come sembra nell’accenno che fa ad uno dei dodici “Fuochi nascosti” di Israele che era in possesso del Rabbino Isaac Abrabaniel di Lisbona, il quale, fuggendo dalla sua città per trovare rifugio guarda caso proprio a Napoli, aveva perduto il suo “Fuoco” (Lume eterno pag. 78).
A questo punto egli potrebbe essere passato ad una ricerca alchemica della “Luce”, ciò che si può dedurre osservando come la materia base del suo “Lume eterno” è costituita dalle ossa del cranio umano: il “cranio” è simbolo del caput mortuum, la Materia Prima dalla quale inizia la ricerca della Pietra filosofale, che è lo scopo degli alchimisti operativi. L’estrazione del “fosforo” da questo materiale indica il primo segno del passaggio dall’Opera al Nero all’Opera al Bianco, perché, come scrive Pernety 10: “Il Fosforo o Portatore di Luce  è uno dei nomi che i Filosofi hanno dato al piccolo cerchio bianco che si forma sulla materia dell’Opera quando incomincia a diventare bianca. Lo hanno chiamato così perché annuncia la bianchezza che essi hanno chiamato luce”.
Però sembra che i primi “esperimenti” del Principe siano stati originati più che altro da una scoperta casuale e difficilmente “riproducibile” (cioè trasmissibile ad altri), perché come egli stesso afferma: “Si sa bene dai pratici dell’Arte Chimica che tutte quelle operazioni, le quali dipendono da certi gradi di calore sia di sole sia di fuoco se non sono fatte nel dovuto grado non riescono sempre eguali. Or io, quando mandai ad una delle nostre vetriere quel genere di roba [cioè il materiale estratto dalle ossa del cranio umano]… non mi presi la cura di sapere né quante ore di fuoco né qual grado di calore essa ebbe” (Lettere pagg. 20 – 21). Il che tradotto in lingua profana significa che il Principe non era in grado di precisare i particolari della “tecnica”, essendo il “fuoco” l’elemento fondamentale per  “cuocere” la Materia dell’Opera ed essendo esso di diversi generi (per tale complesso argomento alchemico rimandiamo al Pernety sub voce).
Giungiamo così ad una terza fase nell’opera di ricerca della “Luce” da parte del Principe con la pubblicazione de Il Lume eterno: nel testo egli fa una serie di raffronti con altri possibili “lumi”, sia antichi sia contemporanei, confrontandoli con il suo, per affermare che solo la sua “tecnica” di Illuminazione è completa e perfetta.
Vi sono, egli scrive, diversi tipi di luci che si possono osservare: esse si vedono sui cadaveri dei condannati a morte o sono prodotte dalla corruzione dei corpi (noi parleremmo di “fuochi fatui”) o compaiono in alcune sperimentazioni realizzate mescolando escrementi umani, specie l’urina, con Allume o Sali di Vetriolo, o ancora scintille ed altre manifestazioni luminose provenienti da corpi di persone viventi (pagg. 42 – 49), che noi diremmo dovute a scariche elettrostatiche.
Tutti questi fenomeni luminosi non sono però comparabili con la sua scoperta, in particolare quelli che egli chiama le “lampade degli antichi”, che si riteneva fossero trovate accese all’apertura delle tombe per poi spegnersi immediatamente.
Esclusi questi fenomeni naturali ed occasionali, il De Sangro fa una serie di raffronti più o meno espliciti con quelle che potrebbero essere, sotto il suo velato discorso, le Tradizioni ebraica e massonica.
Per quanto concerne la Tradizione ebraica il suo giudizio sembra piuttosto esplicito: la lampada di Monaco era stata ritrovata in un pilastro di una chiesa che un tempo era stata una sinagoga (pag. 82) e a tal proposito il Principe riporta una notizia avuta dal Barone di Kempelen (pagg. 73 – 79), il quale, conversando a Costantinopoli con un mercante ebreo che era stato Rabbino di quella città, era stato messo a conoscenza dell’esistenza di dodici “Fuochi nascosti” preparati dalla nazione di Israele, uno dei quali secondo il De Sangro avrebbe proprio potuto essere quello ritrovato a Monaco. Tali  “Fuochi nascosti” avevano lo scopo di mantenere viva tra i più sapienti Rabbini l’attesa dell’arrivo del Messia promesso. Ma sui “lumi” degli Ebrei l’opinione del Principe sembra essere negativa, in quanto come già si è detto egli li riteneva “perduti”.
Un altro riferimento è a quelli che egli chiama a più riprese gli “Scavatori” ed i “Muratori”: gli “Scavatori”, “gente molto facile a prendere abbagli” (pag. 40), “gente grezza ed ignorante” (pag. 50), sono in apparenza gli operai che, dissotterrando le tombe degli antichi, vedevano nell’aprirle questi effetti luminosi, che De Sangro riporta alla corruzione dei cadaveri; forse questo nome potrebbe in realtà celare coloro i quali, seguendo pedissequamente i testi degli antichi alchimisti che andavano “dissotterrando”, tentavano di riprodurne le tecniche operative senza alcuna capacità di reale comprensione (e, noi aggiungiamo, senza la necessaria trasmissione iniziatica), cioè i “soffiatori di carbone” a cui accenna lo stesso De Sangro nelle Lettere a Giraldi: “m’avrete preso senz’altro in conto di que’ sì fatti Fisici sperimentali, per non dir Soffiatori, i quali per ogni che si accendono stranamente di fantasia” (pag. 9).
Il secondo nome, “Muratori”, lascia perplessi nel parlare di scavi, perché casomai il muratori intervengono solo dopo che gli scavatori hanno concluso il loro lavoro, e quindi non hanno la possibilità di vedere il fenomeno luminoso dei “fosfori” se fosse di questo che si parla. In realtà i “Muratori”, “ rudi e ignoranti” (pag. 69), potrebbero identificarsi con i Massoni del suo tempo, i quali avevano perso la capacità di effettuare quelle operazioni esoteriche che sole potevano condurre alla “Luce” e adottavano tecniche false ed illusorie, come sono i fuochi fatui che si sviluppano dai resti mortali.
Ma c’è un’ulteriore possibile riferimento nascosto nel trattato del Lume eterno: la “lampada” del titolo  era stata trovata a Monaco di Baviera “dentro un pilastro che era stato fatto demolire per ampliare la volta di una Chiesa dedicata alla Madonna” (pag. 22 - 23), la quale a sua volta era stata costruita al posto di una sinagoga (pag. 82).
Si tratta forse di un modo per dire che vi era a Monaco o in Baviera un circolo esoterico che intendeva sostituire alla Tradizione ebraica e cristiana una tradizione differente, il quale voleva abbattere il “pilastro” delle precedenti, cioè il fondamento esoterico che costituisce l’anima della religione exoterica, per sostituirlo con una “volta” più ampia, termine che potrebbe essere un riferimento alla “volta” della cripta sottostante il Tempio di Salomone massonico, ed in tal caso il “pilastro” di cui parla De Sangro può riportarsi a quella “colonna quadrangolare” presente nella cripta, all’interno della quale erano custoditi i “piani del Tempio” secondo la descrizione del Di Castiglione.
Ci troviamo quindi di fronte ad una possibile simbologia riferita alla Massoneria del tempo del Principe: ma allora quale poteva essere questa “organizzazione” a cui si riferiva? Possiamo solo rilevare che la Lampada era stata trovata a Monaco di Baviera, e ciò induce a pensare che, ancor prima della nascita “ufficiale” nel 1776 degli Illuminati di Baviera, ivi operasse già un centro i cui componenti erano da lui considerati come vani ricercatori di una tecnica di Illuminazione.
Le indicazioni che dà De Sangro nei suoi scritti circa l’Opera da lui sperimentata e realizzata  si basano su di una distinzione tra le diverse forme dei “Fosfori”, cioè delle possibili forme di Illuminazione trascendente.
Nelle Lettere a Giraldi (pagg. 26 – 28) il Principe specifica l’esistenza di diversi tipi di “Fosfori”: vi sono Fosfori di I classe,  quelli naturali, che si osservano nei cimiteri, nei campi di battaglia nonché all’aprirsi delle tombe antiche, tutti fuochi evanescenti collegati con la putrefazione dei resti mortali, e Fosfori di II classe cioè artificiali, che si ricavano in particolare dall’urina, un liquido che “brucia” (urina è collegabile al termine ur) e che rappresenta a quanto scrive il Filalete “il magistero dei Filosofi perfetto al bianco”. Ma se questi Sali sono “depurati e sceveri da tutte quelle particelle inerti che mettevan freno alla loro somma attività, allora diventavano essi atti non solo a produrre delle vere e stabili fiammelle ma eziandio a produrne delle perpetue; ed a questa terza classe è da ridursi appunto il mio lume eterno”.

Ricordando quanto abbiamo detto circa l’identificazione tra l’Iniziato e la figura del Lume, possiamo ritenere che l’opera di purificazione dalle “particelle inerti” alluda alla purificazione dalle scorie mentali e psichiche, opera che rende stabile e “perpetuo”, cioè definitivo, lo stato di Illuminazione raggiunto.
La perpetuità del Lume, scrive il Principe, è connessa alla capacità che esso ha di associare a sé le “particelle ignee elementari “ di cui l’atmosfera è ricca: “la durata del suddetto mio lume dipende da quel nuovo alimento, che si procaccia dalle parti ignee, delle quali è pregna la nostra atmosfera” (Lettere a Giraldi pagg. 33 – 36, concetto che riprende ne Il Lume eterno pag. 92).
Queste “particelle ignee elementari“ (le “salamandre” di cui parla De Sangro, da interpretare come Spiriti del Fuoco etereo) che “scendono” sulla fiamma del Lume e la “rinforzano”, raffigurate da Fludd come fuochi che piovono sulla Terra, sono in modo particolare connesse al “luogo” dell’operazione del Principe, Napoli: “la materia del mio lume riceve il compenso del picciolissimo peso che perde da tanti corpiccioli che nuotano nell’aria, e specialmente dai vitrosi e dai sulfurei, dai quali, per cagione delle solfatare e del monte Vesuvio, tanto abbonda il nostro Paese” (Lettere a Giraldi pag. 63); il preciso rimando all’area napoletana può essere interpretato come riferimento a quella particolare presenza magico-ermetica che a Napoli si era concretizzata nella fusione tra la Tradizione egizio-alessandrina e quella Italica e pitagorica.
Infine il Principe ci fornisce un’ulteriore informazione circa la “materia” con cui ha formato il suo “Lume perpetuo”: “da certi mesi sono comparse nella superficie [della materia di cui è fatto il Lume] alcune strisce d’un color rosso, cotanto vivo che supera il colore del sangue. Io vado a giudicare che in questa sua porzione di color sanguigno consista tutta la virtù produttrice di sì rare proprietà e che inoltre ha in sé la virtù di attrarre il fuoco elementare che si trova sparso nella nostra atmosfera” (Lettere pagg. 49 – 50).
Con queste parole egli potrebbe fare riferimento alla possibilità di una trasmutazione in atto, se la “materia” del Lume deve essere intesa come il complesso corpo-anima-spirito dell’Iniziato. La porzione rossa della “materia” del Lume potrebbe essere interpretata come il sangue nel quale si sta compenetrando la potenza eterica presente nell’aria respirata (visto che questa parte rossa è in grado di attrarre i “corpiccioli ignei” esistenti nell’aria).
Un riferimento a questo lo troviamo nella concezione dello pneuma nella Gnosi proto cristiana di Clemente d’Alessandria 11 e  forse potrebbe collegarsi con quanto detto in una frase de Il Lume eterno (pag. 79), in cui De Sangro, riferendosi ai dodici “Fuochi nascosti” di Israele, scrive che “questo fuoco considerato [dai Rabbini] come simbolo del desiderio ardente che essi dovevano sempre conservare nei loro cuori per la venuta del Messia tanto desiderato, racchiude in sé una virtù di abbreviarne i tempi”: con questo sembra dire che il “fuoco”, pneuma o Spirito Santo, è il mezzo con cui si può accelerare la trasmutazione del lume = Iniziato partendo dal “cuore”, sede del sangue e quindi della potenza che costituisce il “luogo” della trasformazione in essere perfetto ed immortale.

 

1 De Sangro Raimondo Lettera apologetica dell’Esercitato… contenente la difesa del libro intitolato Lettere di una Peruana, Napoli 1750  (ristampa a cura di Spruit Napoli 2002).

2 Origlia Istoria dello studio di Napoli, Napoli 1754 (rist. anastatica Bologna 1973). Sansone-Vagni Raimondo di Sangro, Foggia 1992 pag.126.

3 Anonimo Breve nota di ciò che si vede nella casa del Principe di San Severo, Napoli nel 1766, ristampa (a cura di Crocco) Napoli s.d.

4 Sansone-Vagni Raimondo di Sangro, Foggia 1992.

5 Bramato Napoli massonica nel Settecento, Ravenna 1980.

6 Sansone-Vagni Raimondo di Sangro cit. pag. 158.

7 Höbel Il Fiume segreto, Napoli 2004.

8 De Sangro Raimondo Lettere del Signor D. Raimondo di Sangro… al signor Cavaliere Giovanni Giraldi   (stampate a cura di Crocco), Napoli 1969.

9 De Sangro Raimondo Dissertation sur une lampe antique trouvée a Münich en l’annèe 1753, Napoli 1756 (traduzione e ristampa con il titolo Il Lume eterno a cura di Lacerenza, Foggia 1999)

10 Pernety Dizionario mito-ermetico, Paris 1758, ristampa e traduzione italiana Genova 1979, sub voce.

11 Per una trattazione dell’argomento si veda il nostro articolo La via dello gnostico negli Stromata di Clemente d’Alessandria, “Simmetria” anno 2002 n° 3.

 

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