| Nel  Venerabile Rito di Menphis e Misraïm i simboli devono essere interpretati  attribuendo loro il senso, il significato anagogico. Bisogna loro attribuire  quel senso che ci porta dalla terra al   cielo. Dobbiamo utilizzare i simboli per arrivare all’universo, per  avvicinarci all’Ente emanante. Nella nostra qualità di Maestri dobbiamo  prendere in considerazione alcune ipotesi. In una prima ipotesi noi non  adoperiamo tali simboli e soprattutto non comprendiamo il loro senso anagogico.  In tal caso non possiamo lamentarci se ciò che vediamo è intriso di tutto ciò che,  essendo arrivati alla Maestranza, dovremmo aver imparato ad abbandonare. Non  possiamo lamentarci se ciò che vediamo è intriso di quegli elementi che, per  intenderci vengono chiamati metalli e che altro non sono che quei  condizionamenti, quelle lusinghe, che derivano dalla società e dalla stessa  natura umana.In una  seconda ipotesi può capitare di adoperare il senso anagogico di tali simboli  senza volerlo, senza esserne consapevoli.   Ci si accorge dei benefici che vengono apportati nel mondo spirituale e  solo in esso, senza preoccuparsi del perché tali benefici arrivino. Ciò accade il  più delle volte. O meglio possiamo dire che ciò accadeva quando l’uomo era  costretto ad esser in contatto con la natura, lontano dalle lusinghe della  società e dalle passioni negative o positive che la stessa comporta. Noi  moderni, abituati a vivere nella società ed in mezzo agli uomini, intuiamo che per  adoperare i simboli e attribuire loro quel senso anagogico indispensabile per  arrivare alla conoscenza alla quale tutti aneliamo occorrono dei Maestri che ci  mettano sulla via, dei Maestri che ci spieghino in cosa consiste la differenza  tra il senso morale, il senso analogico ed il senso anagogico. Solo in tal caso  e a condizione che nel percorso esoterico si siano veramente abbandonato i  metalli, è possibile percorrere consapevolmente questa via ed è possibile  istruire o mettere sulla via, altri uomini di desiderio.
 Passiamo adesso ad esaminare i  quattro elementi.
 Possiamo enunciare i quattro elementi  sia partendo dal basso che partendo dall’alto. Terra, acqua, aria e fuoco o  fuoco, aria, acqua terra. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto. Partiamo  dall’esame di ciò che è in basso. I quattro elementi, tradotti in elemento  solido, liquido, gassoso ed energetico, sono, a ben guardare, l’unico modo in  cui si presenta a noi tutto ciò che si trova sulla terra. Vi è una diversa  proporzione fra i vari elementi e proprio questa diversa proporzione ci porta a  distinguere ciò che è stato emanato.
 Non possiamo che esaminare molto  superficialmente il senso letterale e morale legato ai quattro elementi, dato  che dobbiamo occuparci del senso anagogico.
 Il senso morale, a mio avviso, è  molto legato all’armonia. Esaminiamo un uomo, un animale, una pianta o un  minerale. In natura ci appaiono perfetti. La loro perfezione, che è armonia, è  data dalla giusta proporzione fra i quattro elementi, dal giusto impasto tra di  loro. L’acqua, la terra, sono armoniosamente mescolati dalla natura che si  serve del fuoco, dell’energia. Ciò che ne deriva, oltre ad essere costituito  dagli elementi iniziali, è costituito anche da ciò che non è stato utilizzato e  che pertanto viene restituito, attraverso la precipitazione, dal fuoco che li  ha amalgamati, attraverso l’aria, elemento gassoso. E’ un procedimento  alchemico. La natura effettua tale procedimento automaticamente e il risultato costituisce  l’armonia. Solo l’uomo può turbare tale armonia, solo l’uomo con i suoi vari  condizionamenti, con la sua vana pretesa di adattare quanto la natura si  dispone a realizzare al proprio bisogno o peggio al proprio capriccio.
 
 Nel tragitto verso l’alto il prodotto  finito di tali operazioni alchemiche, per analogia, lo si accosta ai pianeti,  agli astri, ai segni zodiacali. Così facendo se vogliamo intervenire sul  prodotto finito possiamo, appunto per analogia, intervenire proprio sugli  astri, sulle costellazioni, sui segni zodiacali etc. e come? Con le  invocazioni, con le evocazioni, con le preghiere oltre che con l’operatività.  Con i mezzi che le varie scuole esoteriche ci forniscono e che noi impariamo ad  utilizzare.
 La maggior parte delle scuole  esoteriche si occupano nel loro percorso proprio dell’aspetto analogico e ciò è  logico dato che è relativamente facile occuparsi dell’aspetto analogico dei  simboli in generale e degli elementi in particolare, mentre è oltremodo  difficile occuparsi degli stessi simboli esaminandone il senso anagogico.
 Soffermiamoci, infatti, sul senso  analogico dei quattro simboli che stiamo esaminando.
 Innanzitutto constatiamo che i  quattro elementi sono rappresentati da triangoli. Il fuoco è rappresentato dal  triangolo rivolto verso l’alto, come l’aria. Questa raffigurazione ci ricorda  che il fuoco, la fiamma si alza a punta verso l’alto mentre l’aria non è che  fiamma resa passiva da un tratto orizzontale. L’acqua è rappresentata da un  triangolo volto verso il basso, come una coppa pronta a ricevere la pura  rugiada che cade dall’alto, mentre la terra, anch’essa appesantita da un tratto  orizzontale, è considerata come acqua ispessita, appesantita, solidificata.
 Secondo Ermete, per ottenere effetti  meravigliosi bastano il fuoco, attivo e la terra, passiva. Il fuoco che sulla  terra ha proprietà quali il calore e la luce, nel cosmo illumina il sole, gli  astri e gli altri corpi celesti. Il fuoco, la fiamma, influenza sia gli spiriti  del male che gli spiriti del bene. Gli spiriti del male sono più forti in  mancanza del fuoco, della luce, mentre gli spiriti del bene sono più forti in  presenza della luce e non solo di quella divina ma anche di quella derivata dal  fuoco terreno. E’ per questa ragione che coloro che praticano, prima di  qualsiasi pratica accendono un cero, come anche si tengono dei ceri accesi  presso i defunti appunto per allontanare gli spiriti del male.
 La terra riceve tutti gli elementi,  tutti i raggi e tutte le influenze celesti. Alla terra è sufficiente essere  esposta all’aria e purificata dal fuoco. Le cose provengono dalla terra,  vengono generate dalla terra stessa, come i semi, le piante, gli animali, le  pietre, i metalli.
 L’acqua è indispensabile nelle  purificazioni. Essa ha il potere di generare, di nutrire, di far crescere e  trae le sue virtù dall’elemento fuoco.
 L’aria, infine, spirito vitale che  penetra ogni essere, è la prima a ricevere le influenze celesti, influenze che  poi comunica agli altri elementi. L’aria riceve anche le impressioni di tutte  le cose naturali e celesti e fornisce agli uomini la materia per i sogni e per  i presagi.
 I quattro elementi non sono puri.  Essi sono abbastanza amalgamati fra di loro e devono diventare puri per operare  cose meravigliose. Come dice Agrippa, devono giungere a quella suprema unità,  passando dal quaternario (quattro elementi) e progredendo attraverso il  settenario, al denario.
 Prima di giungere all’unità i quattro  elementi possono trasmutarsi l’uno nell’altro, in determinate condizioni  assicurate dalla presenza del fuoco. Non è possibile però lavorare fin  dall’inizio con fuoco puro. Uno dei metodi per sviluppare fuoco puro è quello  di creare immagini di fuoco, avvalendosi dell’elemento acqua, elemento  femminile indispensabile per la creazione di immagini. L’acqua racchiude,  quindi, la sottile forza del fuoco. Tale forza viene trasmessa attraverso  l’aria mentre la terra assicura la costanza e la continuità del procedimento.  La quantità degli elementi che vengono impiegati nel procedimento debbono però  essere ben equilibrati perché un fuoco eccessivo prosciugherebbe completamente  l’acqua, creatrice di immagini. L’aria, a questo punto non avrebbe più utilità,  non potendo veicolare alcuna forza sottile, e la terra si calcinerebbe. D’altro  canto un regime smodato di acqua porterebbe allo spegnimento dell’elemento  fuoco e alla dispersione dell’elemento terra; troppa terra finirebbe con lo  spegnere definitivamente il fuoco sotto la propria massa provocando anche il  prosciugamento dell’acqua; un regime di aria eccessivo determinerebbe le  conseguenze dovute ad un eccessivo regime di fuoco. Come si vede i quattro  elementi bisogna saperli adoperare. Dopo averli ben conosciuti e ben adoperati,  dopo cioè aver fatto un buon lavoro su noi stessi, vediamo come questi elementi  ci conducono alla suprema visione.
 Siamo così giunti al culmine  dell’ascesa. Adesso, utilizzando i quattro elementi, possiamo dedicarci a  conoscere ciò che è posto in alto, avvalersi cioè del significato anagogico, e  quindi far sì che la conoscenza che così si acquisisce, proprio per ciò che ci  dice Ermete, ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso, attraverso un  percorso inverso, discenda fino al nostro corpo. Dobbiamo far sì che la  conoscenza si manifesti, cioè, mentre ancora siamo in possesso dell’involucro  che ci ha accompagnato in questa vita e che tanto ci ha condizionato. E’ quello  che vogliamo. E’ ciò che, in massima parte, giustifica i nostri percorsi  esoterici.
 Cerchiamo la conoscenza anagogica. La  conoscenza di ciò che eravamo prima di utilizzare l’involucro che possiede la  nostra anima ed il nostro spirito e dopo che la nostra anima, il nostro spirito,  lasceranno tale involucro.
 Questa conoscenza non possiamo  ottenerla con i cinque sensi che abbiamo a disposizione; non possiamo ottenerla  utilizzando lo strumento che fino ad oggi ci ha fornito la nozione di ciò che  siamo e di ciò che sono stati coloro che ci hanno preceduto. In buona sostanza  non possiamo ottenerla utilizzando il nostro cervello. Anzi dobbiamo  considerare il nostro cervello come un eccessivo regime di fuoco, di acqua, di  aria e di terra. Il giusto regime degli elementi che ci occorre dobbiamo  ottenerlo abbandonando quell’organo che fino ad oggi ci ha dato sicurezza e che  abbiamo timore di abbandonare come si ha timore di abbandonare una cosa  conosciuta e, in fin dei conti, anche comoda.
 A questo punto il cuore prende il  posto del cervello. Il cuore nel quale risiede quel fuoco, quella fiamma che, se  ben adoperata, purifica gli altri elementi e li mette a disposizione  dell’universo affinchè attraverso le vibrazioni, attraverso il ritmo,  attribuisca loro quella densità necessaria affinchè assumano visibilità agli  occhi di noi tutti. Noi uomini, composti dagli elementi che oggi abbiamo  illustrato, attraverso il fuoco che alberga nel nostro cuore, purifichiamo  quegli elementi che costituiscono il nostro fisico, il nostro corpo, il nostro  spirito e la nostra anima. Quando l’involucro che contiene tutti gli elementi  non ci sarà più, gli stessi elementi, purificati o meno, torneranno a  costituire parte del cosmo e resteranno a disposizione dell’energia, della  vibrazione. Da lì ricomincerà il ciclo. Gli elementi che costituiscono il corpo  torneranno a costituire parte del cosmo. Si ricostituiscono le condizioni che  vi era prima della nostra nascita. Gli stessi elementi che hanno costituito il  nostro corpo erano nel cosmo prima della nostra nascita e torneranno nel cosmo  dopo la nostra morte.
 Gli stessi elementi che hanno  costituito il nostro corpo hanno qualcosa in comune con ciò che si trova nel  cosmo. Oserei dire che tali elementi, mentre sono parte integrante del nostro  corpo, conoscono già ciò che vi è nel cosmo perchè prima della nostra nascita  erano insieme anche se con diversa densità.
 L’uomo che ha percorso il cammino  iniziatico è riuscito a penetrare i segreti del cosmo. Ha visto, ha conosciuto.  Sa cosa accade dell’energia, delle vibrazioni, durante l’attesa. E conosce  tante altre cose.
 Questa conoscenza non può riferirla  in quanto non può descriverla a chi non ha percorso il cammino iniziatico, a  chi non possiede gli stessi sensi. Può soltanto dirgli tenta la strada. Io sono  quì ad ascoltarti a discutere insieme a te ciò che vedi o ti sembra di vedere.
 Ciò che si può dire, e che facilmente  i nostri cinque sensi possono comprendere, e che quella mescolanza che avviene  quando si raggiunge la conoscenza, quella mescolanza degli elementi che formano  il nostro corpo  ed esistono nel cosmo, proprio  quella mescolanza dà luogo a quei fenomeni che tanto colpiscono i profani. Dà  luogo all’acquisizione dei poteri. Ciò avviene perchè gli elementi che occupano  l’involucro che ci costituisce non vengono adoperati nella loro interezza, sono  il prodotto di una operazione alchemica e, in quanto tali, vengono impiegati  parzialmente. La conoscenza la si acquisisce quando quel processo alchemico  avviene anche per gli elementi che formano il nostro involucro; e, mentre una  parte di essi rimane con l’involucro, l’altra parte è capace, anche se  momentaneamente, di mescolarsi con gli altri elementi che formano il cosmo e  che riguardano sia il passato che l’avvenire. Allora si acquisisce la  conoscenza e si acquisiscono quei fenomeni che colpiscono il profano e che si  identificano con i poteri.
 Le scuole iniziatiche, la Massoneria  ed in particolare il Rito di Memphis e Misraim, ci abituano a contemplare, ci  abituano ad operare. Attraverso l’operatività, attraverso la contemplazione,  l’uomo che vuole può raggiungere la conoscenza. Coloro che non vogliono, coloro  che non sanno, sono destinati a restare lungo il cammino.
 Anche il percorso non completo però è  notevole. Val la pena tentare. Val la pena restare anche lungo il percorso. E’  possibile che un percorso, anche se non completo, attribuisca, forse  inconsapevolmente e in maniera incontrollata, quei poteri di cui si diceva.
 Un uomo, un Fratello al quale è stata  dedicata una Loggia del Grande Oriente d’Italia, ha, a mio avviso, raggiunto la  conoscenza assoluta ed ha trasmesso a coloro che lo vogliono, a coloro che lo  sanno ascoltare, ciò che ha visto. Ascoltiamo anche noi il Suo messaggio.  Ascoltiamo ciò che tenta di dirci con le sue sette trasformazioni.
 “Un giorno io mi risvegliai e mi ritrovai  nella bara, coperto delle vesti che mi ero scelte. Sentii allora per la prima  volta la bara e le vesti e tentai di togliermi le vesti ed aprire la bara: né  l'una cosa né l'altra potei fare. Allora corsi alla pura acqua della sorgente  e, mentre bevevo, il fanciullo mi disse: "Non si può salire se non prima  si discende. Sono tre le parole: Osare, Volere, Tacere; e tre le lettere: L\D\P\ Ed io  osai, volli e tacqui e mi servii delle Lettere.
 Ed ecco il mio cuore uscì  dal mio petto ed io lo vedevo. In questo modo mi accorsi della trasformazione e  discesi. Vidi e fui fatto tutto di presente, mentre una nebbia copriva il  passato, e il futuro in me non c'era. Dominio di me era una forza che operava  dall'interno, alla quale non potevo sottrarmi. Ma io compresi e la sentii, e  quando quella forza non ebbe più segreti per me ed io divenni uno con essa,  allora mi resi libero.
 Questa è la prima trasformazione.
 Quando fui libero discesi  ancora e perdetti tutti i sensi tranne uno. Sentii l'immobilità e la fissità:  appresi così un'altra forza. La mia vita fu nel caldo e nel freddo, e solo la  luce, che pur non vedevo, mi faceva vivere. Anche il presente era scomparso.  Questa nuova vita non era meno interessante dell'altra. Dapprima questa nuova  forza l'avvertii come estranea a me, ma poi essa ed io fummo una sola cosa.  Allora mi resi libero.
 Questa è la seconda trasformazione.
 Discesi ancora e fui peso  tra cose pesanti. Tutto mi era al di sopra ed io non l'avvertivo. Anche la  sensazione del caldo e del freddo era scomparsa. Mi parve che fosse un regno  morto e che morto fossi anch'io. Però mi guardai dentro e vidi la vita nella  forza misteriosa che produceva un velocissimo moto nascosto, il quale proveniva  dal moto universale e con esso si accordava. E quando non vi fu più quella  forza, ma divenni uno con essa, allora mi resi libero.
 Questa è la terza trasformazione.
 Allora risalii e fui  sempre nella bara. Così il terzo giorno risuscitai dai morti e sentii la vita  di prima e dissi a me stesso: "Io sono stato all'inferno". Però  sentii pure che se vita c'era in basso vita doveva esserci in alto, e che la  via percorsa non era stata che un ritorno. Allora volli sentire la vita del  presente.
 Osai ricercare la vita  sospingendo le pareti della bara. Ordinai a me stesso di divenire un ritmo. I  miei polmoni respirarono ritmicamente, i miei organi conobbero il loro ritmo;  infine il mio cervello si fermò, ed al posto di esso si pose il cuore, che mi  era stato sempre dinanzi agli occhi. E quando tutto me stesso si uniformò al  ritmo del cuore, e fui tutto un ritmo, allora le pareti della bara caddero ed  io mi resi libero.
 Questa è la quarta trasformazione.
 Divenuto ritmo ascesi nel  sole. Guardai da lì la terra, la luna e l'inferno e vidi che erano veri.  Compresi perché gli uomini stanno tutti nella bara e non se ne accorgono. Vidi  che essi sono fatti del presente, del fisso e del mobile e compresi l'unione di  queste tre cose. Vidi pure che il sole era come me ed aveva il suo cuore ed i  suoi organi e soprattutto il suo ritmo. Il mio era diverso: osai allora  accordare il mio al suo e quando l'accordo fu completo una veste mi cadde.
 Questa è la quinta trasformazione.
 Allora salii ancora e  vidi che la notte non seguiva il giorno, né il giorno la notte. Non c'era né il  bene né il male, né il maschio né la femmina, né l'ascesa né la discesa, né  l'ieri né il domani, né il grande né il piccolo, né la terra né il sole; e non  c'era neanche il nulla e non c'era il tutto. Queste cose le vedevo, ma non le  capivo, fino a che il mio ritmo non si unì al ritmo universale e non si accordò  con esso. Allora sentii la forza eterna; l'altra veste mi cadde, ed io rimasi  nudo, rimasi io.
 Questa è la sesta trasformazione.
 La settima non so  esprimerla, neanche per allegoria; perché è quella della sublimazione; e non si  può esprimere che così:
 Sublime Architetto dei  Mondi, Tu hai gettato un velo sulla Tua gloria e nelle pieghe di questo velo  hai proiettato la tua ombra. Tu hai permesso alla notte di esistere al fine di  lasciare apparire le stelle, ed hai impresso un'immagine sul velo del quale Tu  avevi coperto la tua Gloria; e quest'immagine ti sorrise ed hai voluto che  quest'immagine fosse la tua per creare l'uomo a rassomiglianza di questa  immagine. Così Tu sei Padre, così Tu sei Luce. Tu che sei questo hai voluto il  movimento e nel ritmo perenne hai posto l'onda della vita. La vibrazione è la Tua legge e la creazione  l'effetto di questa legge. Il Logos, vibrando, si rende carne. Così conciliando  in te Libertà e Necessità hai dato all'universo libertà e necessità. Così vive  lo sterminato mondo, i di cui confini sono nella tua volontà, così vive  l'invisibile atomo la cui forza è nella tua potenza. Perché il basso è come  l'alto.Tu hai fatto la Gerarchia, perché Tu sei  Ordine. E gli Angeli salgono e discendono la infinita scala, e combattono una  notte intera con gli uomini. Tu hai accordato i mondi e le gerarchie, ed ogni  cosa è un mondo ed ha una gerarchia. Ed hai fatto i sentieri per cui ogni cosa  creata può giungere a Te. I sentieri sono infiniti, come i raggi della tua  luce, e tutti si congiungono in Te.
 Quando Tu hai creato hai posto all'origine una forza, ed ogni creazione  dura quanto dura l'impulso originario. Questa legge Tu hai posto in ogni cosa.  Or, vedi, oggi noi ricominciamo il nostro cammino verso di Te. Manda qui  l'Angelo Tuo perché accordi le onde che da noi promanano, perché dei nostri  ritmi faccia un ritmo solo e lo indirizzi là dove Tu vuoi; e lo faccia si  potente che si lavori sempre per l'esaltazione della Tua gloria, o Grande  Architetto dell'Universo                      Ora Dante, com’è natura de’ poeti veramente  grandi di rappresentare e conchiudere un grande passato, Dante fu l’Omero di  cotesto momento di civiltà. ... Per ciò avvenne che della Divina Commedia, rimanendo vivo tutto quel che è concezione  e rappresentazione individuale, fosse già antica fin nel trecento la forma  primigenia, la visione teologica: per ciò Dante non ebbe successori in integro.  Egli discese di paradiso portando seco le chiavi dell’altro mondo, e le gittò  nell’abisso del passato: niuno le ha più ritrovate.  § 1. Ugo  Foscolo Durante questo  mio intervento, in una seduta dedicata ad Ugo Foscolo (1778-1827), di Ugo  Foscolo non parlerò molto; in compenso, ricorderò un suo merito, che lo adorna  quanto gli altri, anche se è meno conosciuto ai più. Questo merito  consiste nell’aver aperto la strada a quella che possiamo chiamare  “l’interpretazione esoterica della Divina  Commedia”; certamente proprio quell’aggettivo, “esoterica”, ha escluso questo  dal novero dei meriti del poeta e letterato veneziano. Dopo Foscolo, altri  hanno seguito la direzione da lui indicata, ma l’Accademia, come ha rifiutato  l’interpretazione di Foscolo, così ha respinto queste altre, anche se una di  esse, almeno, portava la firma di un altro grande poeta e letterato, Giovanni  Pasoli.Guénon, seguito  in questo da Vinassa de Regny, ha rilevato come il recupero del messaggio  nascosto abbia dovuto attendere gli inizi del XX sec. per poter essere  effettuato. Un’attesa di sei secoli, la durata di un ciclo naros caldeo, si è resa necessaria perché lo svelamento del  pensiero dantesco potesse avere luogo . Già l’intervento di  Foscolo avvenne a quasi mezzo millennio dopo la morte di Dante: torneremo su  questo punto nelle conclusioni.
 Ma procediamo  con ordine. Solo un poeta  poteva percepire, con la sua sensibilità, che la Divina Commedia, e l’opera di Dante in genere, non poteva essere  interpretata in senso meramente letterario, ma che vi era qualcosa di molto  grande, accuratamente celato.
 E solo un  iniziato poteva penetrarne il significato.
 Foscolo,  infatti, aveva ben affermato l’unità artistica di bellezza e dottrina, quando,  per esempio, nel romanzo Le ultime  lettere di Jacopo Ortis, fa dire: “Beati gli antichi che si credeano degni  de' baci delle immortali dive del cielo; ... che diffondeano lo splendore della  divinità su le imperfezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO ed il VERO  accarezzando gli idoli della lor fantasia!”
 I baci delle  dee; la diffusione, come la luce, del Divino; il bello come espressione del  vero! Già in questo passo Foscolo ci ha dato la chiave che userà con la Divina Commedia.
 Non che Dante  stesso non avesse disseminato i suoi lavori di avvertimenti circa un senso  celato, ma tant’è che non erano stati recepiti che in maniera del tutto  superficiale, soprattutto per il riserbo di cui s’era ammantato Dante stesso.  Egli, infatti, da un lato non intendeva divulgare principi dottrinali a chi non  fosse qualificato per accedervi, dall’altro velava l’esposizione di quegli  stessi principi alle inquisizioni ecclesiastiche, per ragioni evidenti.
 Dopo una vita  travagliata, trascorsa tra le lettere, gli amori e le guerre, nel 1816, all’età  di 38 anni, giunse a Londra, in fuga ed esilio volontario. Vi soggiornerà,  indebitato e cagionevole di salute, fino ai suoi ultimi giorni, quando morì a  soli 49 anni. Fu proprio durante quest’ultimo periodo che scrisse, dapprima nel  1818, in una rivista scozzese, la Edinburgh  Review , un articolo, come primo  intervento sull’interpretazione di Dante, cui fece seguire, poco dopo, nel  1825, in un corposo volume (oltre 500 pagine!) specificamente dedicato al tema: Discorso sul testo del Poema di Dante . Questo testo era parte di  un progetto più ampio, che comprendeva anche un’edizione della Divina Commedia con analisi ecdotica,  analizzando i testi dei diversi manoscritti, rimasta incompleta. Ma veniamo ai  meriti misconosciuti. Foscolo concepì come un’unità tutta la produzione  dantesca, e, alla luce del De monarchia,  delineò l’ideale imperiale dantesco, che costituiva uno dei pilastri  dell’architettura della Divina Commedia . Occorre dire  almeno due parole su questo aspetto, perché è stato spesso frainteso, generando  confusioni che hanno condotto poi ad interpretazioni aberranti. Per Dante esistevano  due istituzioni fondamentali, il cui scopo era quello di condurre l’umanità  alla felicità; quando parliamo di felicità non dobbiamo pensare al  soddisfacimento dei desideri, ma alla pace necessaria per conseguire  l’elevazione spirituale più alta possibile. Queste due istituzioni erano  entrambe centrate sulla città di Roma, ed erano la Chiesa (il Sacerdotium) e l’Impero, concepito come  impero universale, di disegno romano. La Chiesa era quella romana, custode  della Rivelazione, e non un’altra, come molti interpreti della linea esoterica  hanno ritenuto. Gli attacchi alla Chiesa erano mirati esclusivamente a  conseguirne il rinnovamento, in una dimensione spirituale che abbandonasse gli  interessi terreni. Simbolo della Chiesa è, ovviamente, la Croce. L’Impero era  quello del Sacro Romano Impero, il cui compito avrebbe dovuto essere quello di  unificare i popoli, essendo illuminato spiritualmente dalla Chiesa. Simbolo  imperiale è l’Aquila. Accanto a  queste due geniali intuizioni, Foscolo si affacciò anche sulla natura del Vero,  considerato in relazione all’estetica poetica: “[La filosofia metafisica] È scienza altissima, esploratrice dei  sistemi dell’universo; trova tutte le idee del creato oltre i limiti della  materia e del tempo; non dee, nè può esaminare accidenti d’anni e fatti; bensì  qual volta volino a lei dalla terra, li accoglie: non tanto per accertarsi  della loro verità, quanto per giovarsi della loro attitudine a parere effetti  sopranaturali di eterne sopranaturali cagioni. E questa infatti è la poesia  intellettuale. Però fra gli antichissimi Italiani Pitagora, e Platone fra Greci  ... sono, a chi gl’intende, utilissimi fra’ poeti” .In questa  cornice generale di pensiero, Foscolo lesse, nella figura di Beatrice, non un  personaggio reale, bensì l’espressione di un’entità metafisica astratta, la  Sapienza Divina ,  riprendendo un cardine della tradizione iniziatica mediterranea, emersa alla  luce da Pitagora in poi .
 E Pitagora  costituisce un chiaro punto di riferimento per Foscolo: “Che quest’universo sia coordinato in guisa, che tutte le sue parti, per  quanto agli occhi nostri sembrino minime, o immense; distantissime, o prossime;  e di natura diversa e contraria, pur nondimeno rispondano fra di loro, è  dottrina ascritta a Pitagora” . Tramandata nelle due fonti  capitali per Dante (Foscolo richiama la Bibbia e Virgilio, in cui tale  concezione trova corrispondenza ), questa dottrina “ascritta a Pitagora”, è “rimodellata”  nel “sistema di Dante”: “L’Amor che move  il Sole e l’altre stelle”, verso che – nelle parole di Foscolo – “sigilla il poema” .
 A questi tratti salienti , Foscolo, non solo per un  banale anti-papismo, aggiunge anche la piena adesione simpatetica al “macello de’ Templarj” , illustrando come Dante  fosse pienamente partecipe della loro vicenda.
 In conclusione, emerge dagli  scritti di Foscolo, un Dante, “poeta  sacro e tremendo” , “per missione profetica alla quale di proprio diritto, e senza timore di  sacrilegio, si consacrò con rito sacerdotale nell’altisimo de’ Cieli” , apostolo che dedica la  propria vita ed opera a combattere una Chiesa “puttaneggiante” .
 È evidente, oltre all’aspetto  iniziatico, anche la passione politica, che in Foscolo fu prepotente, dal  momento che le dedicò tante energie .
 E qui lasciamo  Foscolo, per seguire l’onda dinamica della sua intuizione.
 § 2. Gabriele Rossetti e Carlo  Vecchioni L’intervento di  Foscolo avrebbe avuto anch’esso scarsa eco, se non fosse stato raccolto da un  altro poeta, anch’egli in Inghilterra, anch’egli esule, proveniente dal Regno  delle Due Sicilie: Gabriele Rossetti (Vasto 1783-Londra 1854) . Era un abruzzese nato a  Vasto, che, per varie vicende legate all’impegno politico (partecipò ai moti  liberali del 1820), dovette riparare in Inghilterra, dove trascorse il resto  della sua vita. Fu merito del Rossetti, in realtà, l’apertura del nuovo filone  interpretativo .A Londra  Rossetti scrisse tre lavori sull’opera dell’Alighieri: Commento  analitico alla “Divina Commedia” nel 1826-1827, Il mistero dell’Amore platonico del Medioevo nel 1840, cui seguì La Beatrice di Dante nel 1842. Nel primo  di questi lavori egli riconosce, nella prefazione, il merito di “esploratore” a  Foscolo, riferendo quanto Foscolo stesso scrisse nella Edinburgh Review: “Ugo  Foscolo, cui Dante fu decenne cura, non dubitò di chiamare arte incognita quella di lui, e soggiungea ... che la più  gran parte di questa immensa foresta rimane, dopo le fatiche di cinque secoli,  involta nella prima oscurità. ... Un commento sopra Dante, da riuscir veramente  utile, resta ancora a farsi” .
 Nello stesso tempo in cui Rossetti  iniziò quella che dovette rivelarsi una strenua lotta, contro il pregiudizio  della critica accademica, uscì il primo tomo dell’opera di Carlo Vecchioni,  vicepresidente della Suprema Corte di Giustizia del Regno delle due Sicilie, dal  titolo Della  intelligenza della Divina Commedia (Napoli 1832).  Rossetti ebbe modo di leggere  quanto del lavoro di Vecchioni fu dato alle stampe, se ne compiacque  grandamente, non trovandosi più solo Hercules  erga omnes, e ne risprese la ricerca, proseguendola. Mentre è noto che Rossetti era  massone e carbonaro, di Vecchioni si sa davvero poco. Egli però avrebbe potuto  conoscere e frequentare, nell’ambito del suo ruolo, l’avvocato Domenico  Bocchini (1775-1840), membro di un ordine esoterico napoletano, di probabile  discendenza egizia via Raimondo di  Sangro (1710-1771). Ma non abbiamo né prove né indizi: questa rimane quindi una  supposizione. Comunque stiano  i fatti, Vecchioni impresse un taglio significativo al suo libro, fecendo  precedere l’analisi interpretativa della Divina  Commedia da una rassegna di interpretazioni allegoriche che gli antichi  fornirono sul patrimonio mitico, sia ellenico che egizio.Infatti  esordisce il Vecchioni riferendo sulla considerazione quanto mai attenta e  rispettosa in cui gli autori classici, greci e latini, tenevano la sapienza  egizia. Vecchioni cita Macrobio, Plutarco, Giamblico, Eliodoro ed altri,  ricordando la rigorosa selettività che il clero egizio esercitava nello  scegliere coloro cui trasmettere la dottrina teologica, i misteri: in  particolare, egli si sofferma su quelli di Iside e Osiride, riferendosi a  Plutarco. Ma una dottrina così ermeticamente custodita doveva essere veicolata mediante un linguaggio segreto, linguaggio  che fu trasmesso ai greci, insieme all’arte della scrittura e alle  “significazioni simboliche”, via Orfeo, poeta e sapiente sommo di cose divine: sacer, interpretesque deorum (Orazio, citato da Vecchioni). Ma la  lingua per esprimere la dottrina non poteva essere quella delle comuni  comunicazioni, bensì la poesia, sostenuta dall’armonia e dal ritmo, quali onde  portanti (Vecchioni cita Plutarco e Massimo di Tiro).
 La Divina Commedia fu quindi, nei fatti, da  lui posta allo stesso livello di un mito, e come quello, rivelatrice del Sacro.  Rossetti scrisse parole entusiastiche a questo riguardo , mentre io ritornerò su  questo punto, che ritengo focale, in seguito.
 Concludiamo  questo paragrafo, rilevando come – pur offrendo spunti di viva intuizione –  l’opera di Rossetti fosse inficiata dalla sua passionalità politica:  l’antipapismo e la partecipazione alle lotte risorgimentali condizionò troppo  fortemente le sue interpretazioni. La strada indicata da Foscolo e aperta da  Rossetti, nella prima metà del XIX sec. è ancora tutta da percorrere. § 3. Hen kai pan Bisogna tener  presente cosa accadeva in Europa in quel tempo, in cui Foscolo, Rossetti e  Vecchioni studiavano e scrivevano. In ambito massonico (ed è lamentevole che  ciò non avvenga più) si studiava attentamente la dottrina dell’HEN KAI PAN, ovvero dell’Uno e il tutto.Assmann, nel  suo libro Mosè l’egizio ha scritto  dettagliatamente su questa importante fase culturale del pensiero europeo, che,  nel periodo che ci interessa, ovvero a cavallo dei due secoli, il XVIII e il  XIX, quando erano vivi sia Foscolo che Rossetti e Vecchioni, era vivacemente  diffusa negli ambienti massonici e in quelli dell’alta cultura in generale.  Ricordo l’opera di contemporanei quali i FF∴  Karl Reinhold (1757-1825) e la sua rivista “Journal  für Freymaurer”, (cui collaborò assieme a Ignaz von Born (1742-1791),  entrambi nella Loggia di Mozart (1756-1791) e Haydn (1732-1809), la Zur wahren Eintracht), ricca di studi  sugli antichi misteri, Friedrich Schiller (1759-1805) e Joahnn Gottfried Herder  (1744-1803), sui quali non è possibile soffermarci ora.
 Ma un altro  contemporaneo fu Antoine Fabre d’Olivet (1767-1825), la cui importanza, come  Maestro di Scienza Esoterica, è inutile sottolineare in questo ambito.  Ricordiamo, che poco prima che uscissero i lavori di Foscolo e Rossetti, Fabre  d’Olivet pubblicava in Francia Les Vers  dorés de Pythagore, expliqués et traduits pour la première fois en vers  eumolpiques français, précédés d'un Discours sur l'essence et la forme de la  poésie, chez les principaux peuples de la terre, denso di contenuti esoterici.
 Ora, non è  possibile che Foscolo e Rossetti non abbiano colto le eco di questo fervore di  idee, tantomeno è possibile in una metropoli internazionale come Londra! Basti  pensare che a Londra editori pubblicarono i lavori dei due poeti in italiano! Né  che dette eco non giungessero in una città raffinata e cosmopolita quale era  Napoli in quel tempo. § 4. Dopo Rossetti Non è  possibile, in questa sede, se non per sommi capi, ripercorrere le tappe  successive alle scoperte di Foscolo, Rossetti e Vecchioni.Eugène Aroux  (1793-1859), in Francia, proseguì la linea di Rossetti, mutuandone anche gli  errori, pur essendo l’Aroux stesso cattolico: egli dedicò il suo libro al papa.  Importante fu lo studio del palermitano Francesco Perez (1812-1892), senatore e  ministro del Regno d’Italia, dal titolo Beatrice  svelata (1865). Si deve a Perez il definitivo riconoscimento di Beatrice  come allegoria dell'Intelletto attivo, la Sophia che illumina l’uomo sul Divino.
 Per tornare al  ciclo cui accennammo prima, il termine del naros di sei secoli coincide precisamente con il periodo in cui apparvero l’opera di  Giovanni Pascoli, del suo allievo e amico Luigi Valli (1879-1930) e del  successivo intervento di Guénon.Con Valli e  Guénon, in particolare, siamo negli anni ’20 e Dante spirò nel 1321. È questo  periodo infatti il punto di svolta definitivo, con Pascoli e Valli che  individuano la struttura del poema dantesco, mettendone in luce le architetture  nascoste ed i significati da queste recati. Infatti, rileva giustamente Cerchi,  che, fino a questo momento, di “esoterico”, nelle interporetazioni dantesche,  non c’è di fatto nulla .
 Ancora, devo dolermi  dell’impossibilità di soffermarmi su un punto così importante; posso solo dire  che Pascoli giocò malissimo la sua carta, scrivendo in maniera arruffata e  caotica tre trattati al limite dell’illegibilità, così come fece a suo tempo  Rossetti. La critica lo respinse: nella commissione giudicatrice che valutò  negativamente questi lavori del F∴  Pascoli, c’era anche il F∴ Carducci .Occorre  precisare che Pascoli diede un’impostazione troppo religiosa alla sua ricerca,  mentre Valli, essendo a digiuno di qualsivoglia conoscenza esoterica, fece di  Dante un eretico settario (secondo la linea interpretativa ormai consolidata  dopo Rossetti e Aroux) e un politico. Il lavoro di entrambi però fu di  altissimo livello e permise a Guénon di intervenire in maniera appropriata .
 Gli autori che  seguirono, Alfonso Ricolfi, il senatore del Regno prof. Paolo Vinassa de  Reigny, Mario Alessandrini  e il muscista Bruno  Cerchio , in maniera diversa,  recarono significativi contributi alla ricerca dell’interpretazione esoterica  nascosta.A questi si  aggiungano i seguenti, su cui mi soffermo molto brevemente: Robert L. John,  docente di Letterature romanze e sacerdote cattolico, Louis Lallement e Nuccio  D’Anna.
 John  svolge un’indagine  storica esaustiva che lo conduce a riconoscere in Dante non solo un cattolico,  ben lungi dalle eresie cui lo avevano associato i primi interpreti, ma un  templare. John si diffonde inoltre sulla gnosi templare, le cui strette  affinità col pensiero neoplatonico non sono sorprendenti per chi si sia  dedicato a studi metafisici.Lallement  dona un’interpretazione,  canto per canto, in chiave simbolica esoterica; forse talvolta si spinge troppo  in là, ma la sua è una ricerca che non va trascurata.
 Infine Nuccio  D’Anna  svolge uno studio sul De vulgari eloquentia, riprendendo una  ricerca di Scarlata, utilizzata anche da Guénon , e dimostra come la  lingua fosse stata ricercata da Dante come supporto per la Rivelazione divina;  in altre parole, allo stesso modo con cui i bambini apprendono – il volgare,  appunto – dalla nutrice, così l’iniziato apprenderà dal Maestro la comprensione  dei simboli e delle verità che questi dischiudono, senza il velo razionale e  analitico del pensiero ordinario . D’Anna conduce la sua  ricerca basandosi sulla conoscenza del simbolismo tradizionale, orientale in  particolare: principio giusto, tenuto conto non solo delle evidenti ed  innegabili affinità dei simbolismi, quello dantesco e quelli, per esempio,  orientali, ma anche delle contiguità tra il mondo dantesco e quello dell’Islam,  come dimostrato da Miguel Asín Palacios (1871-1944)  e successivamente da  Sahir Erman .
 § 5. I miti come allegorie  nell’Antichità Il lungo  percorso che abbiamo appena descritto, richiama alla mente una prassi  interpretativa che risale all’Evo Antico, più precisamente al periodo finale di  quell’evo, la Tarda Antichità. Fu Vecchioni, come s’è detto prima, a porre  questo parallelo. Vorrei soffermarmi  su questo aspetto. Già gli Stoici e poi Plutarco avevano aperto la strada, ma  il primo a leggere un testo religioso in chiave platonica fu indubbiamente  Filone Alessandrino (20 a. C. - 50 d. C. circa). Nato da una ricca famiglia  ebraica ad Alessandria d’Egitto, Filone studiò sia la teologia del suo popolo  (conosceva la Bibbia integralmente), sia il pensiero greco. Occorre dire che in  età imperiale Alessandria divenne un centro culturale di primo piano, dove  diverse concezioni si incontrarono e si fusero insieme. Ad Alessandria  fiorirono pitagorismo, platonismo, insieme alle correnti misteriche orientali,  all’ermetismo, all’alchimia e l’astrologiae allo gnosticismo e, infine al  Cristianesimo. Alessandria era il centro del mondo del pensiero. Un greco non  avrebbe avuto interesse a compiere il percorso di Filone; solo un pensatore  profondamente intriso dal giudaismo e ammiratore entusiasta della filosofia  greca poteva conseguire quel risultato. Teologia mosaica e filosofia ellenica,  la prima in posizione dominante, in quanto oggetto della sua fede, la seconda  come necessità irrinunciabile per la ricerca della verità: una strada era  aperta.Filone quindi,  non solo interpretò la Bibbia alla luce, soprattutto, del Timeo di Platone, ma teorizzò anche il metodo fondato su due  livelli di comprensione, quello letterale, e quello del significato più vero,  celato sotto il primo, allegorico.
 L’opera di  Filone costituì un momento cruciale per la storia del pensiero: fu un  intervento che attaccò efficacemente il materialismo imperante nella sua epoca,  affermando il primato dell’“essere incorporeo”, che all’immanenza contrappose  la visione trascendentalistica, dimostrando come l’uomo non potesse rinunciare  alla Rivelazione, i cui contenuti, in alcun modo, la ragione avrebbe potuto  illuminare .
 Questo metodo  fu seguito anche da Plotino (202-270 d. C.), che lo applicò alla teogonia  ellenica. Così Urano è l’Uno, la realtà suprema posta al di là dell’Essere,  mentre suo figlio Crono, che gli succedette al governo dell’universo, è il  mondo intellegibile, ovvero l’Intelletto universale, buddhi della metafisica indù. Zeus, infine, il figlio di Crono che  sconfisse il padre e lo sostituì come re dell’universo, è l’Anima mundi, ovvero quell’anima che  unica dà origine all’universo sensibile .Dopo questo  grande Maestro, tutto il neoplatonismo che seguì ne accolse l’insegnamento:  magistrale resta il trattato di Porfirio L’antro  delle ninfe, in cui questo allievo di Plotino dona l’interpretazione  cosmologica ad un passo dell’Odissea che descrive un tratto geografico dell’isola di Itaca.
 Siamo, con  questi filosofi, all’interpretazione allegorica, che non deve essere scambiata  per quella simbolica. Infatti, rileva D’Anna, l’allegoria si fonda su analogie  che sono spiegate discorsivamente, secondo criteri razionali: ben lontana,  quindi dall’insegnamento che si riceve insieme al latte della nutrice! “Il simbolo, invece, si identifica con i  ritmi spirituali che sono soggiacenti all’“essere” del mondo, ne coglie i  nessi, riconduce ad unità l’apparente molteplicità delle forme del divenire, è  la base per accedere a quei ritmi spirituali e ai corrispondenti stati di  coscienza ch eil contemplativo sperimenta in sé stesso” .
 Ma, perché il simbolo non  funzionava più, rendendo necessaria l’interpretazione allegorica?
 § 6. Il pilastro sommerso Un concetto  basilare, anche questo poco presente nell’opinione comune, è quello relativo ai  pilastri della civiltà europea, occidentale. Un pilastro è  la religiosità giudaica, di cui il Cristianesimo costituisce uno sviluppo, cui  si deve il monoteismo.Altro pilastro  è la logica greca, cui si deve la nascita delle scienze.
 Il terzo  pilastro è il diritto romano, su cui si fonda l’amministrazione della società.  E di questi tre pilastri siamo tutti consapevoli.
 Ma ne esiste un  quarto, che, come le rovine antiche a Pozzuoli, Baia e Campi Flegrei, nei  secoli si inabissa o riemerge. Questo pilastro è l’ermetismo .
 Ora, la Tarda Antichità e  soprattutto il periodo da Plotino al VI sec. d. C., quando l’imperatore Giustiniano  nel 527 chiuse l’Accademia platonica di Atene, dove aveva insegnato, fino a  pochi decenni prima, anche Proclo (412-485), è il periodo in cui il bradisismo  ha portato in piena luce il pilone sommerso. Infatti, la  reazione spirituale al materialismo ateistico e superstizioso generalizzato  nell’impero romano, condusse ad una mirabile produzione di opere metafisiche,  che non solo entrarono in conflitto col Cristiasnesimo nascente, ma ne  influenzarono profondamente le caratteristiche più intime, e Clemente  Alessandrino (circa 150-215 d. C.) e Agostino d’Ippona (354-430) ne sono gli  esponenti più eccellenti. Che i sistemi  metafisici di quel periodo, fino alla chiusura dell’Accademia, sia filosofici,  a cominciare dal più completo e rifinito, quello di Plotino, sia ermetici,  quali i diversi libri del Corpus  Hermeticum, non siano riconducibili ad un’unica concezione, non deve  preoccupare. L’Assoluto non può essere còlto, neppure in via meramente  intellettuale dal pensiero limitato dell’essere umano, e quindi avremo diverse,  ed inconciliabili tra loro, darshana – ovvero, in sanscrito, “visioni” – perché le diverse dottrine metafisiche sono  solo sviluppi di una singola, sola, inesprimibile dottrina . E ora, veniamo  al perché si rese necessaria la teorizzazione e il lavoro interpretativo  sull’antico patrimonio mitologico. § 7. Il punto di svolta Qui occorre  considerare la grande frattura che subì il mondo greco durante il cosiddetto  “Medioevo Ellenico”.Questa  espressione è particolarmente infelice: l’evo di Dante e della cattedrale di  Chartes non può essere metro di paragone per un’epoca oscura! Se proprio si  vuole un temine in questo senso, nulla sarebbe più appropriato dell’epoca  attuale: l’“Evo Moderno Ellenico”! Diremo: Età Buia.
 Quest’ Età Buia  si svolse tra il XII e l’VIII sec. a. C. Invasioni, tra cui quella dei Dori,  distrussero la civiltà micenea e tutta l’Ellade e il Levante attraversarono un  lungo periodo di recessione, spopolamento e regresso: si pensi che addirittura  in Grecia andò persa la scrittura, che dovette essere rintrodotta almeno a  partire dall’VIII sec. a. C., usando l’alfabeto fenicio ed adattandolo. Si  pensi che neppure le invasioni barbariche nell’impero romano causarono ad una  perdita simile!La portata  nella storia del pensiero della catastrofe dell’ Età Buia è stato nitidamente  delineato dal compianto Domenico Antonino Conci , nell’indagine da lui  condotta sulle origini del fenomeno della “secolarizzazione”, ovvero quel  fenomeno, peculiare del solo Occidente e delle culture da questo influenzate,  per cui l’umanità ritiene di poter condurre vita autonoma e indipendente dal  Sacro.
 Siamo noi a  vivere così, ma, e anche Guénon ce l’ha ricordato in più occasioni, costituiamo  l’unica civiltà su questo pianeta ad aver sviluppato una simile cesura nei  confronti del Divino . In Occidente, infatti,  il Sacro è circoscritto nel suo ambito, marginalizzato rispetto all’esistenza  dei singoli e della comunità, con la conseguenza di consentire un approccio  cognitivo da cui il Sacro stesso è del tutto escluso: le nostre scienze e  relative tecnologie sono fondate principalmente su questa esclusione,  considerando l’oggetto di studio come puro evento che si realizza senza nessuna  interferenza di natura spirituale.
 L’analisi fenomenologica,  ha potuto appurare la natura della “postura rivelativa”, ovvero l’attitudine  (ma il termine è molto impreciso; “postura” è quello giusto) della coscienza ad  accogliere la verità attraverso il mito. È l’universo dei miti che rivela (da  qui: “rivelativa”) il Sacro, al quale la comunità, che quei miti riconosce, si  connette tramite i rituali. È chiaro che una tale postura implica da un lato  una concezione totalitaria del Sacro, dall’altra, da parte dell’uomo, un senso  di impotenza esistenziale e cognitiva che è superata attraverso la celebrazione  del rituale.
 Ho parafrasato  il testo di Conci: non facciano impressione parole come “totalitario” o  “impotenza”. La concezione opposta, fondata sulla coscienza autonoma ed  indipendente (in apparenza!) centrata sull’“io”, caratteristica della nostra  epoca, è stata ben prevista dai sacerdoti dell’Età dell’Oro, che parlavano con  gli dèi, e che da essi hanno appreso il mito dei Titani, che, scagliando  montagne le une sulle altre, diedero la scalata al Cielo, finché le folgori di  Zeus non li precipitano nel baratro del Tartaro. I termini impiegati da Conci  sono duri, ma devono essere considerati in maniera neutra.
 La postura  rivelativa, ovvero la posizione centrale del Sacro nella vita, sia della  comunità che dei singoli, si incrinò in occasione del collasso dell’Età Buia.
 La fiducia  nell’universo mitico e nella validità delle verità da questo rivelate, creò un  vuoto che fu colmato dalle speculazioni critiche nei riguardi della tradizione,  con “i procedimenti del tutto inauditi,  della filosofia e della scienza, che avrebbero ... spezzato definitivamente  ogni continuità culturale con uno stile di vita e di pensiero relato alla  fiducia nella verità rivelata [dai miti], alla sua conservazione, alla sua  puntuale trasmissione alle nuove generazioni”. Ancora, Conci sottolinea: “Le stravaganze speculative dei protofilosofi  ... penso ... a Talete ed Anassimene ..., che, rompendo con le verità  ancestrali della tradizione mitica, divenute ... ambigue ed incomprensibili,  analogamente agli oracoli stessi” indicano la nuova via seguìta nella  ricerca della natura, ovvero dell’essenza, nascosta e al tempo stesso in parte  rivelata dai fenomeni del mondo. “...  occorre andare a scovarla al di là [dei fenomeni], seguendo le tracce che essa lascia trapelare come fossero orme”.  Entrò quindi in crisi il rapporto col Sacro, evento di tale rilevanza, da  comportare il crollo di strutture sottostanti ben più profonde.
 Queste  strutture sono quelle relative al tipo di coscienza: Erodoto e gli illuministi  del Settecento parleranno, a proposito, della civiltà greca come quella “più libera da una stupida credulità”. Ma  non si trattò di una vittoria volontaria – se di vittoria si vuole  impropriamente parlare – contro le tenebre della superstizione: si trattò  invece di un esito determinato dalle condizioni dell’Età Buia, e questi “uomini  liberi dalla credulità” non sono altro che naufraghi aggrappati a relitti. In  questo senso Conci segue un percorso antico, di cui avevano ben trattato sia  Platone che Aristotele, allorché parlavano di montanari ignoranti  sopravvissuti, perché vivevano come selvaggi sulle cime dei monti, alle  catastrofi, che, al termine di ogni ciclo, cancellano quasi completamente la  sapienza acquisita .La postura  rivelativa, ovvero la modalità di coscienza dell’uomo centrato sull’universo  mitico-rituale è impersonale. Ovvero – e qui occorre spiegare cosa si intende  con questo aggettivo – la conoscenza per via della rivelazione mitica è come  l’immagine che si riflette in uno specchio, che essa riempie, con la consapevolezza  che chi accoglie la rivelazione, come fa lo specchio, è pienamente consapevole  del fatto che quella conoscenza non nasce da sé medesimo, anche se la coscienza  individuale la possiede pienamente, ma la possiede “per grazia ricevuta”. Prima di delineare l’altro modo di conoscere,  quello occidentale, per porre bene in luce l’entità del cambiamento, vorrei  fermarmi sul paragone che Conci ha usato, quello con lo specchio, perché lo usa  Dante stesso.
 Lo specchio è  la “metafora dell’Intelligenza Divina che  riflette il creato e per ciò stesso lo trae ad essere come Sua immagine” ; la verità divina che  discende nei cuori dei mistici contemplativi: “Riflettiamo come in uno specchio la gloria del Signore” scrisse San  Paolo in 2 Cor. 3,18. A questo simbolo, Dante contrappone la pica, ovvero la gazza, che rappresenta  non solo l’invidia (per la potenza irradiante dell’Intelligenza divina), ma  anche “la chiacchera vuota e vana, dell’inconcludente imitazione sterile che  scimmiotta ciò che non riesce a comprendere .
 Bene, l’altro  modo di conoscenza è quello strutturato nella polarità di soggetto-che-conosce  ed oggetto-conosciuto. Una coscienza centrata sull’ego e non sul Sacro o sul mito che quel Sacro rivela, deve  integrare il dato dell’esperienza con la speculazione, nata dal senso crititco  personale. Mentre nella rivelazione apparenza e realtà coincidono, e l’essere è  immediatamente percepito a livello intuitivo (si pensi al simbolo dello  specchio), la dicotomia soggetto - oggetto impone una ricerca dell’essenza, ricerca  che dai primi protofilosofi si è protratta fino ai giorni nostri. Ancora, nella  coscienza centrata sul mito il segno e la realtà da esso rappresentata  coincidono, da qui i valoro simbolici dei miti stessi o la possibilità  dell’esercizio della magia e della divinazione. Ma nome e cosa rappresentata  dal nome si separano nel pensiero centrato sull’ego, per cui l’universo da un lato viene classificato come animato  e inanimato, l’individuo diviso in anima e corpo, le realtà come spirito e  materia (in parallelo alle due polarità soggetto - oggetto), dall’altro l’ego stesso deve cercare il referente, il  senso di ciò che gli appare sotto la specie dell’oggetto. Da qui la necessità  di sviluppare un pensiero astratto, quindi non intuitivo, capace di snidare l’essere  vero della realtà, ove questo si celava.
 Ora, il germe  della secolarizzazione, come afferma Conci, appare “in forme aurorali e discrete” già nella Grecia arcaica, per poi  restare endemicamente in incubazione nella religione greca e romana, e poi in  quella cristiana, esplodendo come pandemia nell’Europa dell’Età Moderna.
 Un’ultima osservazione, prima di  chiudere questo argomento.
 Un maestro  nella storia delle religioni, Ugo Bianchi , rilevò come durante il  VI sec. a. C. (che quindi, in Grecia, rappresenta il definitivo superamento e  distacco dalle traversie del Medioevo Ellenico), si accendesse sia in Grecia  che in Asia un fiorire di dottrine religiose imperniate sull’Uno e sul  molteplice, sul ridimensionamento dell’importanza del mondo corporeo  (anticosmismo), sulla catarsi e sulla sorte postuma dell’anima: in questo  secolo abbiamo infatti in Occidente Pitagora e l’orfismo, Empedocle, mentre in  India le Upanishad e Buddha. Sorte indipendentemente le une dalle altre, esse  connotano questo secolo come un secolo marcatamente significativo nella storia  del pensiero.Quindi anche se  il virus aveva ormai infettato le basi del pensiero occidentale, questo  produceva anticorpi, come li produce anche ora, e l’Istituzione Massonica ne fa  fede.
 § 8. Conclusioni La necessità di  “spiegare” i miti coll’uso del pensiero astratto, sorse quindi in un periodo di  reazione ad una tendenza di generale materialismo, ateismo, superstizione e  agnosticismo. Dopo l’Età Buia, che costituì la grande caduta, nell’Occidente furono  discesi altri gradini.Il rogo dei  Templari segna inequivocabilmente un altro gravissimo salto verso il basso.  Quest’evento funesto fu preceduto di pochi decenni dall’inizio della “piccola  era glaciale” (1290-1850), seguita, nella metà del secolo, da gravi carestie (a  milioni morirono per quella del 1315), cui succedette, infine, la Peste Nera  (1347-1352), che spopolò l’Europa e il Mediterraneo.
 Dante morì nel  1321, sette anni dopo il rogo di Jaques de Molay e di altri Templari. Aveva  fatto a tempo a concludere quello che si può a ben diritto considerare il sommo  capolavoro della letteratura mondiale – e, si noti bene, chi vi sta parlando  non è un campanilista!Sappiamo che  Boccaccio, fino all’anno della morte, il 1375, fece i salti mortali per salvare  quell’opera eccelsa dalla condanna dei teologi: nel 1335 il capitolo fiorentino  dei domenicani sanzionò aspramente la Divina  Commedia ,  facendo temere il peggio. Il poema si salvò, per nostra grande fortuna, ma un  invisibile velo ne coprì il pieno fulgore.
 Un’epoca si era  chiusa, e il nuovo sentire, primavera dell’incipiente Umanesimo, relegò la Divina Commedia al rango di opera  esclusivamente “letteraria, retorica e  poetica”: quest’impostazione si prolunga ancora , col rifiuto accademico  della nuova strada interpretativa. Sei secoli, per riportare l’opera dantesca  in piena luce!
 L’umanità  emersa dalle difficoltà del XIV secolo era completamente diversa. La  possibilità di recepire un senso nascosto, che per Boccaccio, per esempio,  (Boccaccio era bambino quando Dante morì) era ben chiaro, divenne  irraggiungibile. Così è stato necessario “spiegare” la metafisica espressa – o  celata, secondo i punti di vista – nella Divina  Commedia. Sono questi i mezzi con cui la Tradizione reagisce al crollo del  concetto del Sacro. Lo sforzo razionale, divinamente ispirato, supplisce alla  perdita della sensibilità, all’ottudimento dell’intuizione. E qui mi si affaccia un pensiero. È  possibile individuare nella storia tracce concomitanti dell’intervento divino?  Certamente Dio non interviene, poiché Egli è l’Assoluto, fuori dal tempo e  dallo spazio ,  mai suoi Angeli – per così dire –   probabilmente agiscono secondo leggi cicliche. Abbiamo ricordato il naros di 600 anni, perché si arrivasse a  comprendere il senso nascosto della Divina  Commedia. Il messaggio era “cristallizzato”, in attesa di tempi migliori . Ma quante sono le altre  coincidenze? Come prima circostanza notevole, ricordo l'arrivo  in Italia (1438) di Gemisio Pletone (1335-1452) e la rinascita – proprio a  Firenze! – dell'Accademia Platonica, chiusa da Giustiniano 911 anni prima, e  l'opera di interpretazione e traduzione intraprese da Marsilio Ficino  (1433-1499): una reazione paragonabile a quella avvenuta nel VI secolo a. C.  nei confronti dei danni apportati dall'Età Buia, coll'apporto di Pitagora e  dell'orfismo.È certo, comunque, che il livello precedente il  1307 non sarebbe più stato raggiungibile, essendosi spezzato, con la fine dei  Templari, un legame, costituito dai “Custodi della Terra Santa” (il Centro  Supremo)  ma una contro-spinta era in atto.
 Come seconda circostanza, ricordiamo le origini  del nostro Rito, quello di Misraïm, proveniente   da Venezia, dalle isole ionie e dall’Abruzzo, noto da prima del 1789,  costretto a chiudere nel 1797 . Proprio Zante (Zakintos),  nelle isole ionie, dove nacque Ugo Foscolo e l'Abruzzo di Vasto, dove nacque  Rossetti. E veniamo a Rossetti e a Napoli. Su questa città è superfluo spargere  parole: ricordiamo solo l’espressione “il  nodo napoletano”, usata dal Brunelli . Napoli centro  iniziatico, custode di una tradizione egizia.Ma non finisce qui. Voglio ricordare che è del  1791 la prima a Vienna del Zauberflöte,  “Il flauto magico”, e , come nel caso  della Divina Commedia, la piena  bellezza dell’arte è un segno d’ispirazione Superiore. Nel flauto magico Mozart allude chiaramente all’Egitto, come luogo  della più completa e pura Tradizione Primordiale, secondo il dibattito sull'HEN KAI PAN cui accennammo prima.
 Né mi soffermo sul ruolo della Gran Bretagna, e di Londra in particolare,  nella storia della Massoneria. Sia Foscolo che Rossetti si trovarono in quella  città contemporaneamente, per quattro anni. Rossetti quando fuggì da Napoli,  dapprima approdò a Malta. Per quanto riguarda quest’isola, lì Cagliostro  conobbe il suo maestreo Althotas nel 1766 e poi vi soggiornò nuovamente negli  anni 1774-1775 .  E da lì, insieme al Cavaliere D’Aquino, si spostò proprio a Napoli. Così si  intrecciano i protagonisti e i luoghi della “riscoperta” del messaggio dantesco  e le origini del nostro Rito, nel quadro generale di una riscoperta dellUno e  tutto, HEN KAI PAN. Sembrerebbe quasi  che una Potenza non-umana abbia intrapreso un’azione di diffusione di Luce,  centrandosi su posti e situazioni specifici. 
                                
                                 
                                     Giosuè Carducci, L’opera di Dante - Discorso,  Zanichelli, Bologna 1888, p. 67. 
                                     R. Guénon, L’esoterismo di Dante,  Atanor, Roma 1978, p.59 (fine cap. 7), L’esoterismo  cristiano e San Bernardo, p. 72; Paolo Vinassa De Reigny, Dante e il simbolismo pitagorico, F.lli  Melita ed., Genova 1988, p. 7. 
                                     Luigi Della Santa, Interpretare Dante:  una storia infinita, in: Rito Simbolico Italiano - Collegio Mediolanum ed., Sotto il velame - Dante fra universalità  esoterica e universalismo politico, Mimesis, Milano 2007, p. 11. 
                                     Cito secondo l’edizione di P. Rolandi, Londra 1842. 
                                     Foscolo, Discorso sul testo del poema di  Dante, § cxii, p. 230, § cxxi-cxxii pp. 249-271. 
                                     Foscolo, Discorso sul testo del poema di  Dante, § xxiii, p. 39. 
                                     Foscolo, Discorso ... cit., § xxix,  p. 52, dove riferisce quanto afferma Dante stesso nel Convivio: “bellissima, nata  da Dio, creata dal principio dinanzi i secoli” 
                                     Cfr. Della Santa, ibid.; cfr.  Foscolo, Discorso ... cit., p.  379-384. 
                                     Foscolo, Discorso ... cit., §  clxxxii, pp. 379-380. 
                                     Foscolo, Discorso ... cit., §  clxxxiii, pp. 380-381: Coelum et Terram  Ego impleo (Genesi 1.2) e Eneide VI 724 ss.. 
                                     Foscolo, Discorso ... cit., §  clxxxiii, pp. 382. 
                                     Aggiungerei anche questo passo, esemplificativo di questa impostazione di  pensiero: “A Dante i Genii allegorici,  de’ quali l’antichità aveva popolato il regno poetico, parevano invenzioni  ispirate dalla sapienza” (Discorso  ... cit., § cxcix, p. 419). 
                                     Foscolo, Discorso ..., cit., §  xxxvii, p. 68. 
                                     Foscolo, Discorso ..., cit., § xl, p.  75. 
                                     Foscolo, Discorso ..., cit., §  xlviii, p. 89. 
                                     Come l’amore patriottico si coniugasse con l’attenzione alla metafisica,  risulta chiaro anche da questa citazione. In un empito patriottico, che oggi  potrebbe far sorridere, ma il cui valore, nel tempo in cui fu concepito, impone  serietà e rispetto, l’anonimo prefatore all’edizione del 1842 del Discorso, che si firma “Un’Italiano” (sic), afferma, delineando gli auspici  per il futuro dell’Italia (Un’italiano (sic), in: Foscolo, Discorso ... cit., p. xvi): “E  quando saremo fatti degni di Dante, troveremo oltre a quel segreto, nelle  pagine ch’ei ci lasciava, una lingua, quale in oggi gli sfibrati scrittori che  tengono in Italia il campo delle lettere, guasti da’ Francesi, guasti da’  Tedeschi, guasti da tutti e pure armegginati a dichiararsi indipendenti da  tutti, neppure sospettano: troveremo una Filosofia, nazionale davvero, anello  tra la Scuola Italiana di Pitagora e i pensatori italiani del secolo XVII:  troveremo le basi d’una Poesia, vincolo fra il reale e l’ideale, fra la terra e  il cielo, che l’Europa, incadaverita nello scetticismo e nell’egoismo, ha  perduta: troveremo i germi d’una credenza che tutte le anime invocano senza  raggiungerla”. I pensatori italiani del XVII secolo che ci  vengono in mente, in un tale contesto, sono Giovan Battista Vico, Tommaso  Campanella, Giovan Battista Della Porta. 
                                     Per 3 anni Foscolo e Rossetti vissero contemporaneamente a Londra: Rossetti vi  giunse nel 1824 (50, Charlotte street, W1T), mentre Foscolo, che vi dimorava  dal 1816 a Turnham Green (W4 1LR), vi morì nel 1827. Nel 1824 Foscolo fu  rinchiuso in prigione per debiti. 
                                     Cfr. Piero Vitellaro Zuccarello, Conclusioni,  in: RSI, Sotto il velame - Dante ...  cit., pp. 61-63, dove sono sintetizzate le ragioni di tale merito; Vitellaro  Zuccarello inoltre riprende la tesi della continuità tradizionale iniziatica su  suolo italico, cui Dante afferì, e che portò alla Massoneria odierna. 
                                     Rossetti, La Divina Commedia di Dante  Alighieri con comento analitico di Gabriele Rossetti in sei volumi. Vol. I,  Londra, John Murray, Albemarle street, 1826, p. vi 
                                     G. Rossetti, Il mistero dell’amor  platonico ne; Medio Evo - vol. I, rist. anastatica, Milano 1982, pp.  xviii-xxi (citato da Lo Monaco, www.picatrix.com cit.). 
                                     Bruno Cerchio, L’ermetismo di Dante,  Ed. Mediterranee, Roma 1988, p. 10-11. 
                                     Si vedano gli articoli di Luciano Pirrotta, , Abstracta 12 (feb. 1987), pp.  16-23 (in rete: www.airesis.net); Giovanni Pagliaro, Pascoli perduto, Massoneria oggi III/5 (1996), pp. 27-31; Moreno  Neri, Giovanni Pascoli: esoterista e  dantista, Hiram (2002/3), pp. 49-58 con relative bibliografie; Robert L.  John, Dante templare, Hoepli, Milano  1987, pp. 44-45. 
                                     Con buona pace di B.  Cerchio, L'ermetismo ... cit. p. 11 ;  R. Guénon, L’esoterismo di Dante, 1925,  ampliato con gli articoli: Il linguaggio  segreto di Dante e dei “Fedeli d’Amore” - I, Le voile d’Isis, febbr. 192; Il linguaggio segreto di Dante e dei “Fedeli  d’Amore” - II, Le voile d’Isis, mar. 1932, ripubblicati in L’esoterismo cristiano e San Bernardo,  Arktos, Carmagnola 1989 (originale del 1954). 
                                     Dante Fedele d’Amore, Atanor, Roma  1960 
                                     Bruno Cerchio, L’ermetismo di Dante, cit. 
                                     Robert L. John, Dante templare, cit. 
                                     Louis Lallement, Le sens symbolique de la  Divine Comédie - I Enfer; id., Dante  - Maître spirituel - II Purgatoire, Guy Trédaniel -Éd. de la Maisnie, Paris  rispett. 1984, 1988. 
                                     Nuccio D’Anna, La sapienza nascosta -  Linguaggio e simbolismo in Dante, I libri del Graal, Roma 2001. 
                                     Gaetano Scarlata, Le origini della  letteratura italiana nel pensiero di Dante, Palermo 1930; R. Guénon, L’esoterismo cristiano ... cit., pp.  89-95. Si veda inoltre la nota in N. D’Anna, La sapienza ... cit., p. 10. 
                                     La escatología musulmana en la Divina  Comedia (1919), trad. Dante e  l’Islâm. L'escatologia islamica nella Divina Commedia, Net, Milano, 2005. 
                                     Sahir Erman, Dai templari a Dante,  in: Adelia Rispoli ed., Quaderni di Istanbul 2 (1987), pp.65-76. 
                                     Cfr. Giovanni Reale, Storia della  filosofia greca e romana - vol. 7, Bompiani, Milano 2004, pp. 9-13. 
                                     Cfr. Aldo Magris, Plotino, Mursia,  Milano 1986, pp. 164-167. 
                                     Nuccio D’Anna, La sapienza nascosta -cit.,  pp. 44-45. 
                                     Il concetto, modificato, è ripreso da quello espresso da R. van den Broek - W.  J. Hanegraff, in: R. van den Broek - W. J. Hanegraff eds., Gnosis and Hermeticism from Antiquity to Modern Times, State  University of New York Press, New York 1998, p. vii.  
                                     René Guénon, L’uomo e il suo divenire  secondo il Vêdânta, Adelphi, Milano , p. 16. 
                                     Domenico A. Conci, Alle origini della  secolarizzazione: una prospettiva fenomenologica, in: Associazione Holos  International, Corpo spirituale e Terra  celeste, Quaderni di Mantra nº 1 - Atti del convegno internazionale a  Campione d’Italia 4-5 ottobre 2003, Melide (Svizzera) 2004, pp. 55-66 (in rete  nel sito: http://www.holosinternational.org). 
                                     Cfr. René Guénon, Oriente e Occidente,  Luni Ed., Milano 1993, p. 20. 
                                     Cfr. Carlo Augusto Vian, Aristotele, Metafisica, TEA, Torino 1992, Introduzione, pp. 9-10.  
                                     Cit. da Nuccio D’Anna, La sapienza ... cit.,  p. 50 
                                     Ugo Bianchi, Selected Essays on  Gnosticism, Dualism and Mysteriosophy, Brill, Leiden 1978, pp. 167-168 e n.  1. 
                                     Cfr. Giorgio Padoan, Boccaccio, in:  AAVV., Enciclopedia dantesca,  Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 1984, vol. I p. 649. 
                                     Vedi Stanislas de Guita, Le serpent de la  Genèse - La clef de la magie noire, Amiedi, Milan s. d., op. 46 
                                     Cfr. R. Guénon, Il regno della quantità e  il segno dei tempi, Adelphi, Milano 1982, p. 163. 
                                     Cfr. R. Guénon, Introduzione generale  allo studio delle dottrine indù, Torino 1965, p. 64; id. Simboli della scienza sacra, Adelphi,  Milano 1975, p. 87. 
                                     Cfr. Gastone Ventura, I Riti massonici di  Misraïm e Memphis, Atanòr, Roma 1975, pp. 34, 41, 45. 
                                     Seri,  s.d.: 15; Carlo Gentile, introd. a Brunelli, Rituali dei gradi simbolici della Massoneria di Memphis e Misraim,  Bastogi, Foggia 1981, pp. 10-11.; Francesco Brunelli, Rituali dei gradi simbolici della Massoneria di Memphis e Misraim,  Bastogi, Foggia 1981: 28-29, 37-38.   |