| Platone, nel Simposio, traccia una memorabile immagine  di Socrate facendo dire ad Alcibiade che Socrate è come uno di quelle statue  chiamate Seleni, raffigurate con in braccio la lira o lo zufolo ed esposte  nelle botteghe degli scultori, che se li apri vi troverai dentro la statuetta  di un Dio. Michelangelo   sui monti di Carrara guardando un blocco di marmo vi intravedeva dentro  la statua che avrebbe scolpito. Sarebbe stato sufficiente eliminare, con gli  strumeni dello scultore, le soprastrutture.
 La vera differenza con l’alchimia è che i Seleni,  Michelangelo, fanno intendere all’uomo il punto di partenza ed il punto di  arrivo. L’alchimia fornisce la via attraverso la quale, dal punto di partenza, si  arriva alla meta. Se conosci solo il punto di partenza ed il punto di arrivo  almeno all’inizio brancoli nel buio, a meno che tu non sia nato Socrate o  Michelangelo; un sapiente o un artista. In questi casi è la tua natura che ti  porta ad intuire la strada. Ti è facile squarciare il velo della Papessa per  giungere alla Regina (sono due degli arcani maggiori dei tarocchi).
 La filosofia iniziatica, l’arte, l’alchimia, sembrano  dirci la stessa cosa. Forse è più opportuno dire che, in sostanza, il filosofo  iniziatico, l’artista, pongono in essere un processo alchemico, a volte inconsapevolmente.  Il processo alchemico, per i  comuni  mortali, è molto importante. Per raggiungere la meta, noi comuni mortali,  dobbiamo percorrere una certa strada. La meta può essere identificata, per la  maggior parte degli uomini, nella conoscenza del dopo morte acquisita durante  la vita; la meta può essere anche identificata nella titolarità di poteri  straordinari che ti pongono in netta situazione di vantaggio rispetto agli  altri uomini. Qual’è la strada. Consideriamo la meta finale come un puzzle. Abbiamo  a disposizione le varie tessere ma dobbiamo studiare il modo di accostare l’una  all’altra fino a quando non si raggiunge l’incastro e, completato il puzzle,  il risultato finale. Ogni scienza iniziatica,  per raggiungere questo risultato, ci suggerisce la sua strada. Se da ognuna  prendiamo un particolare, alla fine avremo fatto un buon lavoro sincretico.  Occorre però fare un lavoro diverso. Occorre, come ci suggerisce Guenon,  percorrere una o più strade per raggiungere il centro. Giunto al centro bisogna  effettuare un’operazione che non deve essere sincretica ma di sintesi. La  scuola Pitagorica mette a disposizione del ricercatore, dell’iniziato, i  numeri, l’armonia; gli egiziani, con i loro templi, con i loro meravigliosi  percorsi esoterici ci insegnano una cosa fondamentale: il cervello è il vero  nemico della conoscenza; al momento della mummificazione del cadavere, mentre  gli altri organi venivano tolti accuratamente e conservati nei vasi canubi, il  cervello, mediante un piccolo strumento a forma di cucchiaio, veniva tolto  dalla scatola cranica e quindi buttato, in quanto d’intralcio al raggiungimento  della vera conoscenza che, simbolicamente, si otteneva in ogni caso dopo la  morte. Istruzioni analoghe ti forniscono la Massoneria, il  templarismo, il rosacroceanesimo, il martinismo, la magia. Tutte le istruzioni  che ti danno le arti appena citate ti dicono che per raggiungere la meta, per  raggiungere la vera conoscenza, non devi farti condizionare da ciò che hai  appreso con l’ausilio del tuo cervello, attraverso le letture, attraverso l’educazione,  in buona sostanza attraverso tutto ciò che i sensi fisici possono averti fatto  apprendere. All’interno dell’involucro costituito dal tuo corpo mortale vi è un  dio, vi è il Dio. Non devi fare altro che eliminare le sovrastrutture, come  faceva Michelangelo con i blocchi di marmo, perchè il Dio che vi è in te  agisca.
 L’alchimia, dato per scontato l’obiettivo che ci si  propone, ti fornisce anche la strada per raggiungerlo.
 E’ una strada difficile. E’ fatta di continuo lavoro e  di continue intuizioni. Canseliet definisce l’alchimia assoluta verità; rierca  e risveglio della vita segretamente assopita sotto il pesante involucro  dell’essere e della rude scorza delle cose.   Secondo Fulcanelli colui che teme il lavoro manuale, il calore dei  forni, la polvere del carbone, il pericolo delle reazioni sconosciute e  l’insonnia delle lunghe veglie, quello non saprà mai nulla. Sempre Fulcanelli  nel suo libro sul mistero delle cattedrali ci dice che la cattedrale di Notre  Dame, fin dal portico,  ci indica la  strada alchemica da percorrere.
 La cattedrale di Notre   Dame può essere paragonata al “Mutus Liber”, così come a libri muti  possono esser paragonate molte chiese, specie quelle gotiche, dove l’alchimia,  con simbologia velate, è esplicata in molti particolari. Dico con simbologia  velata perchè il parlare oscuro è proprio degli alchimisti. Uno dei primi  simboli dell’alchimia è lo specchio. Ciò che vedi allo specchio è il contrario  di ciò che accade nella realtà. Le stesse chiese che parlano di alchimia,  abbiamo detto, appartengono, in buona parte, al periodo gotico. Sempre  Fulcanelli ci fornisce il significato della parola “gotico”. Secondo gli  alchimisti il significato dell’arte gotica non deriva dal popolo germanico dei  goti o ancora peggio dalla reazione scandalizzata degli “intellettuali” del  secolo XVII e XVIII che definivano gotico, in senso dispreggiativo, ciò che a  loro avviso era barbaro, no, per gli alchimisti, la spiegazione del termine  gotico va ricercata nella radice cabalistica della parola piuttosto che nella  sua radice letterale. Arte gotica, nata in Francia fra il XII e XV secolo, è,  secondo Fulcanelli, la deformazione ortografica della parola “argotico”. La cattedrale è un’opera d’art goth o d’argot. L’argot è il linguaggio caratteristico di tutti gli  individui interessati a comunicarsi i pensieri senza essere compresi da coloro  che li circondano. E’ una vera e propria cabala parlata.
 Le varie fasi dell’alchimia, se ben condotte, ci  conducono all’oro filosofale; alla meta. Non è il caso, quì, di parlare delle  varie fasi dell’alchimia; non ne sono capace e non è il mio scopo. Il mio  scopo, semmai, è quello di stimolare i lettori ad intraprendere lo studio  dell’alchimia. Ad intraprenderlo e, perchè no, ad operare.
 Voglio finire con le parole di Paolo Lucarelli, uno  dei pochi veri alchimisti allievo di Canseliet, scomparso il 14 luglio del  2005, relative ai diversi gradi che l’adepto può raggiungere; secondo Lucarelli  i gradi sono sette:
 
                  
                    Il 1° grado è l’iniziazione essoterica, che  viene trasmessa da un essere umano. Può durare anni ed essere graduale, o  risolversi in un solo incontro. Per lo più, però, si sovrappone temporaneamente  al grado successivo, e questo per certi motivi.
                    Il 2° grado è l’ordinazione, che è data dalla  Natura o Spirito Universale, direttamente. All’inizio è impercettibile, e non  se ne è consapevoli. In realtà potrebbe anche non passare mai dalla potenza  all’atto, ma produce comunque dei risultati. Dobbiamo distinguere tra “iniziazione”,  che è un insegnamento, e “ordinazione”, che è una qualificazione.
                    Il 3° grado è l’iniziazione esoterica, che si  ottiene quando la Natura, o Spirito del Mondo, trasmette direttamente  l’insegnamento, che quindi è necessariamente esoterico. Tuttavia può essere  anche data parzialmente da un Maestro, ma è molto raro.
                    Il 4° grado è l’illuminazione, ed avviene quando  la Natura, o Spirito del Mondo, si manifesta corporalmente.
                    Il 5° grado è il magistero, ed è la prima  realizzazione, ed anche la comprensione dell’Opera.
                    Il 6° grado è l’adeptato, ed è quando si  realizza l’Opera corporale.
                    Il 7° grado è la liberazione. Alla fine della dissertazione lo stesso  Lucarelli ha aggiunto la nota:Pochi  arrivano a 1                  10.000
 Una parte  di questi a 2             1.000
 Pochissimi  a 3                             100
 Una parte a  4                                20
 Quasi tutti  questi a 5                      20
 Una parte a  6                                  5
 Uno a 7                                          1
       ALLA RICERCA DELLA ERESIA
 (Antonio Urzì Brancati)
  Dichiarazione di  eresia nella storia Valore iniziatico  dell'eresia    A:.U:.T:.O:.S:.A:.G:.    La parola ERESIA  trae origine dal greco che significa  scelta. Viene così definita una tesi che in tutto o in parte nega la verità  della fede, mentre è eretico chi, pur essendo battezzato e volendo mantenere il  nome di cristiano, aderisce pervicacemente all'eresia. A questa determinazione  del concetto di eresia e di eretico, quale è data dal codex iuris canonici ancora  vigente, si è giunti dopo un lento e lungo corso storico.
 La parola , da tempo in  uso nel greco dell'età ellenistica con il significato di scelta e poi di scuola  filosofica, passò ad indicare, già in S. Paolo, ogni divisione che rompa  l'unità della chiesa e che perciò si opponga alla comunità dei fedeli. il concetto  di eresia venne poi sempre più precisandosi nei primi secoli cristiani, quando,  dopo le persecuzioni, nei grandi dibattiti teologici e, poi, nelle decisioni  conciliari con la fissazione della dottrina della chiesa in dogmi vennero,  nello stesso tempo, condannandosi le tesi che da quella divergevano  e che si dissero appunto eresie. Si venne  anche allora distinguendo l'aspetto oggettivo dell'eresia, che concerne il  contenuto della tesi, errata in se e per se, a prescindere dalla persona che  l'ha espressa e sostenuta, e l'aspetto soggettivo dell'eresia stessa, che si  riferisce alla persona che la esprime o sostiene, e che va considerata  colpevole e condannabile solo e in quanto l'eresia venga affermata tenacemente  e pervicacemente contro la vera dottrina della Chiesa.
 Va inoltre ricordato che da Teodosio in  poi, quando si fu stabilito un vero e proprio rapporto di simbiosi fra  l'impero romano e la Chiesa, l'eresia finì con l'essere considerata sempre più  un vero e proprio delitto politico. Nei secoli successivi, in particolare nelle  lunghe e complesse vicende della conversione dei popoli germanici e slavi al  cristianesimo, venne esteso, per esempio, in molti concili nazionali dell'età  carolingia, il concetto di eresia all'adesione e al mantenimento di una o più  credenze e riti della fede pagana. Dopo il sec. XII° e per molta parte di  quelli successivi, con l'affermarsi sempre più netto del potere del Papa in  materia di fede, venne considerata eresia ogni e qualsiasi rifiuto di  obbedienza alle decisioni pontificie, mentre sotto il concetto di eresia  vennero anche ricondotte alcune deviazioni del retto modo di vivere del clero,  come la simonia ed il nicolaismo, alcune pratiche contrarie ed opposte ai riti  della Chiesa, come la magia, la stregoneria, l'astrologia e l'esercizio di  attività economiche condannate dalla Chiesa come l'usura.
 Una concezione così ampia e comprensiva  dell'eresia è rimasta operante per secoli ed ha pesantemente contribuito,  specialmente nell'età della riforma del sec. XVI°, ad approfondire ed aggravare  le divisioni in seno alla cristianità, in particolare quando venne affermato  con durezza, dal sec. XIII° in poi, la necessità, non solo di condannare  l'eresia, ma soprattutto di colpire e, se possibile, di ridurre al silenzio, anche  con la forza, i suoi sostenitori. L'eresia fu anzi considerata, ancora una  volta, delitto politico, che da Federico II° venne addirittura punito come  crimen lesae maiestatis.
 Le lotte di religione, l'illuminismo e  le dottrine liberali del sec. XIX° hanno ricondotto il concetto di eresia ai  suoi termini e nei suoi limiti più nettamente religiosi.
 Ma il concilio Vaticano II°, nel  fissare ed indicare il modo delle relazioni con le altre Chiese cristiane ha,  come sembra, segnato di nuovo la differenza dell'eresia come dottrina che la  Chiesa non può accettare, e l'eretico, che va considerato pur sempre fratello  in Cristo, seppure separato e che non va quindi colpito d'anatema e di maledizione,  quanto piuttosto riconquistato con la persuasione paziente e fiduciosa nella  carità di Cristo.
 Anche i protestanti conobbero l'eresia,  come deviazione della dottrina stabilita dall'autorità, provata sulla base  della sacra scrittura, e dichiarazione di colui che sosteneva, con deliberata  coscienza, una tesi diversa da quella della comunità dei fedeli: fu così  possibile a Lutero condannare gli anabattisti e a Calvino mandare al rogo  Michele Serveto. Ma con il progressivo affermarsi della libertà di coscienza,  l'eresia è divenuta presso i protestanti sempre più un fatto teorico e  dottrinale con scarse conseguenze nella vita concreta della comunità dei  fedeli.
 
 Da un punto di vista storico non va  dimenticato che l'eresia non si presenta mai come un fatto solamente ed  unicamente religioso ma ha sempre varie e profonde implicazioni politiche,  sociali ed economiche, le quali la condizionano e persino ne determinano la fisionomia,  la durata nel tempo e l'esistenza stessa; basterà pensare alla sopravvivenza  dell'arianesimo nelle popolazioni germaniche, che lo sentirono come espressione  caratteristica della loro germanicità e che, come tale, lo mantennero fin  quando l'infiltrarsi e l'affermarsi tra loro della civiltà romana non li  indussero ad accettare il cristianesimo cattolico.
 Le invasioni germaniche , col generale  abbassamento di cultura e di tono di vita, anche religioso che ne conseguì,  non diedero luogo a fenomeni ereticali di vasta portata.
 Solo nella mutata posizione politica,  sociale, economica, che caratterizza l'Europa del sec. XI°, insieme col  rinnovamento e l'approfondimento dello spirito religioso abbiamo un vistoso  numero di fenomeni ereticali.
 In bilico tra ortodossia ed eresia  vennero considerati alcuni movimenti che, dalla lettura del Vangelo ricavarono  la necessità di un rinnovamento della vita cristiana anche e soprattutto nel  clero, al cui fasto ed alla cui ricchezza venne sempre più consapevolmente  contrapposto Cristo, povero e sofferente. Fra questi movimenti vanno inclusi i  disordini religiosi e sociali come quelli provocati ad Anversa da Tanchelmo e  che ebbero il loro culmine e la loro conclusione con Valdo e col Valdismo che  diffuse in tutta l'Europa la sua predicazione di penitenza e di povertà.
 Anche più importante fu l'affermazione  in Europa durante il sec. XII° di fermenti ereticali che si giovarono della  inquietudine religiosa viva nelle masse popolari per diffondere la loro fede  dualistica. Se contro queste eresie molto efficaci furono la predicazione  domenicana e francescana, l'opera dell'inquisizione e l'appoggio dell'autorità  laica, non per questo si riuscì sempre ad appagare il bisogno religioso delle  folle, sempre attente ad esigere una rispondenza piena tra la prescrizione del  vangelo e la concreta realtà di vita dei ministri della Chiesa. In questo senso  è caratteristico l'atteggiamento dei fedeli di fronte al contrasto tra  spirituali e comunità in seno all'ordine francescano. Nella Francia  meridionale, in Toscana e nelle Marche essi appoggiarono regolarmente gli spirituali,  che sentivano i più veri continuatori di S. Francesco, e quando l'autorità  papale li condannò come eretici, perché disobbedienti alle sue decisioni, non  esitarono ad appoggiarli, affrontando per questo anche il rischio del processo  inquisitorio e del rogo. Da questo e da molto altri elementi risulta  un desiderio del divino che non riusciva ad  essere appagato nelle forme della liturgia tradizionale e che sentiva perciò la  necessità di ricorrere a modi di religiosità diversi  da quelli ufficiali o addirittura contrari.  Si spiega così il rifiorire, dalla fine del XIII° secolo in poi, di riti magici  e pratiche di stregoneria, che si complicò assai presto di relazioni con il  demonio e con riti diabolici. Si tratta di fenomeni che affondano le loro  radici addirittura nel mondo precristiano e che, dopo aver avuto per secoli una  vita marginale se non sotterranea, compaiono ora, di nuovo, con prepotenza,  persistendo poi fino al XVIII° sec. ed oltre, anche se ridotte al rango di  superstizioni popolari.
 Più importanti dal punto di vista  intellettuale, non meno diffusi ed originati anch'essi dal desiderio di un  contatto immediato e totale con la realtà stesso di Dio, sono gli eretici che  oggi si sogliono raggruppare sotto la denominazione comune di seguaci del libero  spirito o dello spirito della libertà.
 E' un fenomeno assai complesso ed  articolato che si avvalse anche degli apporti   che gli venivano dalla speculazione filosofica e che muovendo dalla  considerazione che liberandosi mediante un'ascesi durissima dai legami col  corpo e col mondo, l'anima si rendeva disponibile all'azione divina e si  giungeva alla conclusione che da quel momento in poi l'anima veniva mossa direttamente  da Dio raggiungendo una indifferenza totale ai valori consueti: per lei non  esistevano più ne azioni buone né azioni cattive, perché in lei agiva, in libertà  piena, lo spirito di Dio al quale bisognava solo obbedire.
 Tutti questi movimenti eretici che, in  sostanza combattevano le gerarchie ecclesiastiche e criticavano i rapporti tra  le stesse gerarchie ed i fedeli o fra gerarchie e potere statale, continuarono  per molto tempo e portarono ad un certo risultato con il Concilio di Trento  dove vennero introdotte delle riforme grazie alle quali la Chiesa cattolica riuscì  a contenere l'espansione del protestantesimo. Non per questo però finirono le  eresie. Dal settecento in poi, al di là di eresie nate da vere e proprie  deviazioni dottrinali la Chiesa colpì e condannò come eresie aspetti ed atteggiamenti  della vita e della cultura di un'epoca: vediamo perciò condannato nel  settecento l'illuminismo di Voltaire, Diderot, Russeau e l'enciclopedia, poi  nell'ottocento momenti e teorie del liberalismo e del socialismo.
 Ultima grande eresia deve considerarsi  il modernismo, nelle sue varie manifestazioni filosofiche, teologiche,  storiche, a cui fu fatta colpa di voler tentare una impossibile conciliazione  fra le dottrine dei nostri tempi e le immutabili verità cristiane.
 Le discussioni del primo novecento,  continuate e riprese sino ai nostri giorni, sull'atteggiamento della Chiesa  verso i risultati della filosofia, della scienza ed in genere della cultura  contemporanea, hanno trovato la loro provvisoria conclusione nel concilio  vaticano II.
 
 Questo necessariamente sintetico  excursus storico è premessa fondamentale per alcune considerazioni che desidero  sottoporre alla Vostra attenzione.
 Il significato etimologico della parola  eresia ci porta ad un concetto fondamentale nella vita di un essere pensante:  "Scelta", possibilità, cioè, di compiere una selezione fra tutte le  tesi, le concezioni, le esperienze che nel corso della nostra vita entrano  nella nostra conoscenza, nel nostro patrimonio culturale. In natura la facoltà  di scelta è patrimonio di tutti gli essere viventi. Si sceglie per istinto, per  condizionamento, per ragionamento. Mentre gli esseri viventi appartenenti al  mondo animale scelgono per istinto o per condizionamento, gli uomini sono gli  unici esseri viventi che possono scegliere   anche per ragionamento. E' chiaro che più si è evoluti, più si è informati,  più, in sostanza, si conosce, maggiori sono le occasioni in cui si sceglie per  ragionamento e minori quelle in cui si sceglie per istinto o condizionamento.  E' fuor di dubbio che le scelte fatte per istinto o condizionamento tendono  maggiormente a soddisfare bisogni o interessi egoistici mentre quelle fatte per  ragionamento possono essere dettate dal soddisfacimento di interessi o bisogni  più generali se non addirittura universali. E' anche chiaro che, nel momento in  cui si opera la scelta, nasce la possibilità di errore; l'uomo responsabile,  però, si assume il peso di questa eventualità con tutte le conseguenze che ne  derivano.
 Altri uomini, invece, anche per timore  di commettere errori, preferiscono delegare altri ad operare le scelte  abdicando ad una delle più importanti caratteristiche di cui la natura li ha  dotati.
 Colui o coloro che vengono delegati a  ciò acquistano potere; l'esercizio e la conservazione di tale potere comporta  un'attività che, anche se parallela all'attività delegata, con essa si confonde  fino, a volte, a diventare preponderante.
 A questo punto l'esercizio e la  conservazione del potere diventa lo scopo e non il mezzo dell'attività dei  delegati. Il sistema più facile per raggiungere tale scopo è l'imposizione di  regole  la cui provenienza ed il cui  valore effettivo non può essere controllato, non deve essere discusso, ma deve  essere solo accettato.
 E' evidente che un simile risultato è  facilmente raggiungibile facendo intendere che tali regole vengono dettate  dalla divinità, da una entità che sfugge alla conoscenza razionale, la cui  autorità non può esser messa in discussione se non negandone l'esistenza e la  cui presenza si manifesta solo attraverso un intermediario, unico depositario  delle verità imposta.  L'uomo che abdica  alla facoltà di scelta, facilmente accetta per fede l'esistenza di una  divinità e facilmente alla stessa si adegua anche perchè, in genere, questa  divinità lo solleva da qualsiasi responsabilità morale e spirituale.  Obbedisci e sarai premiato, in questa o nell'altra vita.
 Accanto a questi uomini, però, sono  sempre esistiti altri uomini che non hanno abdicato alle loro peculiarità,  che non hanno rinunziato alla facoltà di scegliere. Costoro possono accettare  solo ciò che li convince, solo ciò che possono ritenere frutto della loro  libera speculazione, del loro libero ragionamento. Possono pervenire anche al  risultato di ritenere valida la verità imposta ma solo se questa conclusione è  frutto di ragionamento. Vogliono, in ogni caso, esser lasciati liberi di  operare le loro scelte e di porre in discussione, ovvero far diventare oggetto  di ragionamento, qualunque concetto od opinione da chiunque provenga.
 Costoro, naturalmente costituiscono un  pericolo per coloro che si proclamano unici depositari della verità  proveniente dalla divinità e quindi devono esser combattuti.
          Esaminiamo adesso il rapporto tra  l'iniziato e l'eresia.Con riferimento alla definizione di eresia  data dal corpus iuris canonici si perviene alla conclusione che l'iniziato può  non essere un eretico. Non vi è dubbio infatti che l'iniziato può aver operato  una scelta confessionale in virtù di un suo personale processo logico valido  come tutti gli altri processi  logici. In  tal caso non solo accetta le verità della fede ma addirittura le difende con  la forza della propria ragione e non solo dell'affidamento fideistico ed è  quindi più credibile.
 Vi è un solo aspetto che presenta una  certa difficoltà nell'accettare tale conclusione. L'iniziato, in quanto tale,  deve tollerare un diverso atteggiamento, un diverso convincimento frutto di una  diversa razionalità e pertanto non può condannare come eretico e quindi fuori  dalla verità coloro che, razionalmente, pervengono alla negazione delle verità  della fede; deve dichiararsi possibilista e tollerante anche nei confronti di  tali convincimenti, pur non condividendoli. Così operando, però, si pone in  contrasto con le regole della confessione in quanto non accetta uno dei presupposti  fondamentali dell'insegnamento confessionale che cioè l'unica verità è quella derivante  dalla divinità, non discutibile e non adattabile. Per tal motivo questo  iniziato pur non essendo un eretico in quanto ha accettato, razionalmente, le  verità imposte dalla divinità, viola uno dei canoni fondamentali del codex  iuris canonici, l'art. 684, che invita i fedeli a guardarsi dalle associazioni  segrete, condannate, sediziose, sospette che cercano di sottrarsi alla  legittima vigilanza della Chiesa.
 Da quanto detto si evince chiaramente  che mentre una istituzione iniziatica può, in teoria, recepire tra i suoi membri  un soggetto che abbraccia una confessione religiosa e quindi anche i suoi  dogmi, purchè la convinzione di costui scaturisca da una scelta razionale, la  confessione religiosa non accetta fra i suoi membri un soggetto che si pone  in situazione critica non nei confronti delle verità bensì solo nei confronti  del metodo per giungere a tali verità. E' chiaro che ciò pone dei seri problemi  di scelta all'iniziato che si trova in tale situazione ma, nel momento in cui  rimane, convinto, nell'istituzione iniziatica si ha la certezza che tali  problemi siano stati risolti, a favore della razionalità e non della cieca  obbedienza.
 Non vi è dubbio però che, nei suoi  confronti, l'istituzione iniziatica ha il diritto ed il dovere di accertare la  genuinità del processo razionale attraverso cui è giunto alla determinazione  di rimanere nell'Istituzione stessa. Ne ha il diritto in quanto deve  salvaguardare la propria integrità da eventuali infiltrazioni che potrebbero  turbare la genuinità del processo di ricerca; ne ha il dovere in quanto deve  salvaguardare tutti gli altri membri dall'azione distruttrice dei cd.  depositari della verità.
          Un'ultima annotazione riguarda  l'atteggiamento del Massone nei confronti della dichiarazione di eretico. Tale problema è opportuno esaminarlo in  relazione a due diverse situazioni. Nella prima situazione si parte dal  presupposto che il soggetto che attribuisce il crisma di eretico abbia insieme  potere spirituale e potere temporale. In tal caso l'attribuzione della qualità  di eretico è, in genere, accompagnata da una sanzione di natura materiale che  può andare dalla restrizione della libertà personale, alla confisca dei beni,  alla condanna a morte. Di una siffatta situazione ne hanno fatto le spese i  vari Galileo, Giordano Bruno e quanti furono oggetto di attenzione da parte  della Santa Inquisizione; ne fanno oggi le spese le vittime, ad esempio,  dell'integralismo islamico; l'altra situazione prevede che il soggetto che  attribuisce il crisma dell'eresia abbia solo potere spirituale e non anche  quello temporale. La sanzione, in questo caso, dovrebbe essere solo di natura  spirituale e pertanto  avere efficacia  solo nei confronti di chi teme tale tipo di sanzione e chi teme tale tipo di  sanzione certamente non fa parte della massoneria. Può verificarsi, però, ed in  pratica si verifica, che l'istituzione che combatte l'eresia abbia dei  coinvolgimenti, spesso di natura politica, con i governanti dei luoghi in cui  esplicano la loro attività. Tali coinvolgimenti sono dovuti, nella maggior  parte dei casi, al largo seguito di cui godono queste istituzioni che attingono  proseliti prevalentemente fra i ceti in cui, per diversi motivi che in questa  sede non è il caso di esaminare, prevalgono la paura, la superstizione,  l'ignoranza e che in tale situazione sono, per convenienza, tenuti proprio  dalla istituzione alla quale aderiscono. Fra dette istituzioni ed i governanti  si instaura spesso un tacito accordo, in base al quale i governanti, in cambio  di una acritica adesione al regime da parte della istituzione e quindi dei suoi  adepti, offrono determinate protezioni, spesso non palesi, nei confronti di  coloro che non condividono i principi ed i dogmi di tali istituzioni. E'  proprio questo il motivo per cui, oggi, come ieri, la nostra Istituzione è  costretta, specie nella nostra nazione, ad una riservatezza piuttosto rigida,  ad una notevole cautela a manifestarsi nel mondo profano.
 La riservatezza, la cautela non  impediscono però all'iniziato di compiere l'opera di miglioramento di se  stesso, anzi l'agevolano dal momento che le peculiarità del lavoro  dell'iniziato fanno sì che lo stesso non possa svolgersi in altro ambiente se  non nel Tempio e con la protezione di un altro elemento peculiare di tale  lavoro che è la segretezza. Il segreto che ciascun iniziato, alla fine dei  lavori, giura di non rivelare è elemento fondamentale del lavoro stesso; è il  suggello apposto da ciascuno degli iniziati affinchè l'opera svolta raggiunga  il suo scopo.
 L'opera che l'iniziato svolge al di  fuori del Tempio, tendente al miglioramento dell'umanità, in teoria, potrebbe  svolgersi anche al di fuori della riservatezza, essendo un'opera il cui fine è  certamente comune a tutti gli uomini di buoni costumi che non necessariamente  sono iniziati. In pratica però la riservatezza è non solo opportuna ma anche  necessaria. In primo luogo perchè occorre annullare gli effetti negativi  determinati dal clima creato attorno agli iniziati da coloro che, per i motivi  fin qui esaminati, li combattono; in secondo luogo perchè se si agisse alla  luce del sole occorrerebbe rivelare, oltre all'idea che si ritiene utile  portare avanti per il bene dell'umanità, anche il metodo attraverso cui  all'interno del Tempio si è raggiunta tale convinzione e quindi sarebbe  necessario rivelare il segreto dei lavori iniziatici.
 Le camere di perfezionamento del rito,  gradualmente, ci offrono tutti gli strumenti necessari per svolgere  integralmente il nostro lavoro, dentro e fuori il Tempio. Seguiamo attentamente  gli insegnamenti che ci derivano dalla frequentazione di dette camere; atteniamoci  alle regole che la saggezza di chi ci ha preceduti ha imposto; cerchiamo di  penetrare l'alto significato dei simboli che attengono a tutto il Rito ed alle  varie camere che lo compongono ed avremo la certezza di operare per il bene ed  il progresso dell'umanità.
       L’ERESIA ALLE SOGLIE DEL  TERZO MILLENNIO (Antonio Urzì Brancati)  A:.U:.T:.O:.S:.A:.G:.   In  una precedente conversazione, in questa stessa Camera, ho trattato il tema  dell’eresia, esaminandola sotto il profilo storico e, nella parte finale,  analizzando il rapporto che intercorre tra l’eresia e gli iniziati e, in  particolare i Massoni. Adesso mi propongo l’obiettivo di individuare  le moderne eresie e di valutarle alla luce di  ciò che può definirsi la morale del terzo millennio, al formarsi della quale  hanno non poco contribuito gli spiriti Iniziati   in generale ed i Massoni in particolare.Nella  precedente conversazione ho definito Eresia una tesi che in tutto o in parte  nega la verità della fede ed eretico chi, pur essendo battezzato e volendo  mantenere il nome di cristiano, aderisce pervicacemente all’eresia. Abbiamo  esaminato le eresie “storiche” ed abbiamo constatato che, per la maggior parte,  consistevano in interpretazioni delle Sacre Scritture differenti da quella  imposta dalla Chiesa Cattolica e dal Papa. Si è visto, nella passata  conversazione, che venivano dichiarati eretici tutti coloro che, in qualche  maniera, combattevano le gerarchie ecclesiastiche e criticavano i rapporti tra  le stesse gerarchie ed i fedeli o fra le gerarchie ed il potere statale.
 L’eresia  era uno strumento del quale la Chiesa Cattolica, che aveva salde e profonde  commistioni con il potere temporale, si serviva per imporre la propria  supremazia e per colpire coloro che, operando delle scelte di vita o di  pensiero diverse da quella imposte dall’autorità, finivano con il porre in  discussione la stessa autorità della Chiesa e quindi dello Stato che dalla  Chiesa traeva spesso autorità e legittimazione. Così, possiamo dire, fino ad un  recente passato dove, pur con le dovute modifiche necessarie per il mutar dei  tempi, il rapporto tra la   Chiesa Cattolica ed una parte dello Stato è stato sempre  elemento condizionante di scelte sostanzialmente politiche spacciate spesso per  atti necessaria alla salvaguardia della morale pubblica.
 Gli  ultimi eventi politici che hanno interessato il mondo occidentale, specie  quello industrializzato, hanno fatto venir meno parecchi alibi che hanno  consentito il perdurare dello stretto rapporto tra mondo politico e mondo  ecclesiastico. Così la Chiesa Cattolica rischia di perdere il suo maggiore  “sponsor”  ed adesso la vediamo alla  ricerca di nuovi mezzi atti a conservarle quel potere temporale senza il quale,  evidentemente, ritiene di non poter imporre il proprio messaggio intriso di  dogmi e di verità non discutibili. Abbiamo il sospetto che tra questi nuovi  mezzi siano da annoverare anche i “miracoli” (statue piangenti) che di tanto in  tanto riempiono le cronache dei giornali.
 Lungi  da me l’idea di dare un giudizio su tali fenomeni. Mi limito semplicemente a  prenderne atto e ad esprimere una mia personale perplessità.
 Torniamo,  comunque, alle eresie. Gli elementi costitutivi dell’eresia sono i seguenti: a)  un dogma; cioè una verità indiscutibile, non spiegabile se non attraverso un  atto di fede ovvero con un ragionamento che ti conduce alla constatazione  dell’impossibilità di spiegare il fenomeno se non attraverso un atto di fede  pienamente compatibile con il processo razionale e che di tale processo indica  un limite ben preciso.
 b)  una autorità che tale dogma può enunciare; cioè un soggetto riconosciuto  depositario del pensiero della divinità ed unico interprete autorizzato.
 c)  i destinatari del dogma.
 d)  una sanzione che accompagna la non accettazione di tale dogma, sanzione che, in  genere, si identifica con la scomunica.
 Esaminiamo  tali elementi singolarmente. Il Dogma. Nella accezione storica esso si identifica  con la definizione di un aspetto della divinità o della sua manifestazione ai  fedeli: Cristo figlio di Dio; Verginità di Maria, madre di Cristo; Dio uno e  trino; e così via. E’ un elemento di carattere teologico che scaturisce  dall’esame del contenuto delle Sacre Scritture. L’Autorità che enuncia il dogma  è sempre il Sommo Pontefice, il “Vicario” di Dio in terra, monarca spirituale  assoluto della comunità ecclesiale, costituita dal clero vero e proprio e dai  fedeli. Tale comunità identifica il terzo elemento e cioè i destinatari del  dogma. Il quarto elemento, la sanzione, cioè la scomunica ovvero l’esclusione  del soggetto dalla vita della comunità e dai sacramenti ha diversa efficacia a  secondo che destinatario sia un appartenente alla gerarchia ecclesiastica  ovvero un semplice fedele.
 Alla  luce degli elementi fin quì considerati possiamo adesso ricercare e definire i  moderni dogmi ovvero i dogmi dell’era moderna caratterizzata da una maggiore  secolarizzazione, dal sempre maggior peso assunto dalla ricerca scientifica, da  pressanti problemi di natura demografica ai quali si accompagna l’esigenza  della salvaguardia dell’equilibrio ecologico del pianeta; problemi tutti da  esaminare sullo sfondo di una morale, di un’etica modificata così come si modifica  tutto ciò che si evolve.
 Il  dogma, ovvero la verità imposta, subiva un primo profondo cambiamento con Papa  Pio XII che infliggeva la scomunica a coloro che, negli anni cinquanta,  votarono per il partito comunista. E’ una delle prime avvisaglie della metamorfosi  che si verifica nella Chiesa Cattolica. La giustificazione ufficiale per tale  presa di posizione è che il comunismo propugna l’ateismo ed è pertanto  contrario a qualsiasi professione di fede, compresa quella cattolica. Nessuno  può comunque smentire che da quella enunciazione ne trasse enorme vantaggio il  partito popolare di allora, in seguito trasformatosi nella democrazia  cristiana. Da quel momento la Chiesa Cattolica non ha avuto bisogno di  enunciare dogmi per mantenere il primato spirituale e, cosa ben più importante,  il potere temporale. La Chiesa assunse il compito di convogliare i fedeli, come  gregge, alle urne con precise disposizioni, il partito garantiva alla chiesa  tutto quanto potesse occorrerle per l’affermazione del proprio primato. Naturalmente  vi furono incidenti di percorso che turbarono, in qualche maniera, la perfetta  intesa instaurata fra la Chiesa ed la Democrazia cristiana, quali per esempio  la legge sul divorzio, la sconfitta del successivo referendum abrogativo, la  legge sull’aborto, la revisione dei patti lateranensi. Incidenti la cui  responsabilità ricade prevalentemente sul partito che, per non dipendere  interamente dalla chiesa, fin dall’inizio, mise in atto un progetto di  autonomia basato essenzialmente sull’utilizzo del potere per assicurarsi  consensi, progetto che, in un regime politico basato sul sistema elettorale  proporzionale, portò al consociativismo e quindi alla necessità di cedere spazi  politici e di potere ad altre forze politiche. Non è fantapolitica ritenere che  la caduta del sistema partitocratico e la trasformazione del sistema elettorale  da proporzionale in maggioritario possa avere origine dal logoramento del  rapporto tra la Chiesa Cattolica ed il partito che, nonostante il più o meno  tacito impegno, non riusciva più a garantire quanto necessario per il  mantenimento del primato.
 Venuti  meno i precedenti equilibri buona strategia vuole che, come prima cosa, si  riproponga la presenza dell’ignoto, la presenza di ciò che può condizionare con  la paura di quanto non è dato conoscere in questa vita; occorre una  testimonianza del potere della divinità, della sua presenza costante in ogni  atto della vita dell’uomo; di seguito poi occorre ribadire le vecchie regole e  dettarne di nuove. Naturalmente dette regole debbono provenire da chi è  riconosciuto unico rappresentante in terra della divinità, dal Papa.
 Il  metodo con il quale il Papa fa conoscere il pensiero ufficiale della Chiesa  Cattolica è in genere l’Enciclica e, per l’appunto, ne è stata pubblicata una  dal titolo “EVANGELIUM VITAE” e dal sottotitolo “ Valore ed inviolabilità della  vita umana”, nella quale possono riscontrarsi tutti gli elementi dei moderni  dogmi e pertanto delle moderne eresie.
 Non  ritengo opportuno fare una disamina dell’Enciclica, ci porterebbe fuori tema,  desidero solo trarre da essa gli elementi che interessano per la nostra  conversazione.
 I  temi principale che si affrontano in detta enciclica sono: la pena di morte,  l’eutanasia, l’aborto, la contraccezione, la fecondazione artificiale ed ogni  forma di intervento sull’embrione umano.
 Ciascuno  di questi argomenti è stato oggetto di dibattito appassionato in tutte le  aggregazioni sociali. Chiunque abbia a cuore il futuro ed il benessere del  genere umano, chiunque aspiri a condurre la propria esistenza secondo i  principi di uguaglianza, di fratellanza, di solidarietà, deve farne oggetto  della propria meditazione. Nessuno di noi può esimersi dall’intervenire  operativamente su argomenti che, a secondo di come vanno risolti, possono  influire in maniera determinante sull’assetto sociale e sul benessere  dell’umanità. Noi Massoni, nei confronti di alcuni di questi problemi, quali la  pena di morte, abbiamo spesso assunto un atteggiamento non distante  dall’atteggiamento della Chiesa Cattolica; siamo sempre stati dell’avviso che  l’eutanasia, l’aborto, la contraccezione, siano interventi da operare con molta  cautela e da affidare soprattutto alla coscienza dell’individuo la sola in  grado di operare scelte così difficili ed impegnative; nei riguardi  dell’eugenetica, della manipolazione degli embrioni, non possiamo che auspicare  che interventi del genere vengano sempre più perfezionati ed adoperati solo ed  esclusivamente al fine di ottenere una sempre migliore qualità della vita.
 L’atteggiamento  della Chiesa Cattolica, confermato da quest’ultima enciclica, è invece molto  rigido ed intransigente. Tale atteggiamento, a mio avviso, potrebbe avere delle  ripercussioni molto pericolose per lo sviluppo ed il benessere dell’umanità, ma  non è di questo aspetto che intendo occuparmi.
 Nel  rispetto del tema mi preme sottolineare solo come da argomenti di carattere  sociale, che non possono non coinvolgere le coscienze e gli intelletti di tutti  gli uomini, la Chiesa Cattolica ne tragga dei dogmi. Sono dogmi perchè vengono  imposti come dettati dalle Sacre Scritture ovvero derivanti da una  interpretazione delle stesse; sono dogmi perchè emanano dall’unico depositario  delle verità rivelate; sono, infine, dogmi perchè l’inosservanza dei precetti  che contengono sono visti come vero e proprio allontanamento dalla comunità e  dalle sue ferree leggi, con conseguente scomunica e privazione dei sacramenti.  Sono dogmi ed in conseguenza viene considerata eresia la loro inosservanza.
 Tutto  ciò, comunque, potrebbe essere considerato solo un affare privato fra gli  appartenenti alla comunità che tali dogmi ha enunciato. Ciò sarebbe non solo  accettabile ma anche da rispettare. Ogni comunità ha, infatti, il diritto di  imporsi delle regole e nessun uomo rispettoso delle libertà altrui potrebbe  arrogarsi il diritto di intervenire su tali regole. Chi non è d’accordo non  entra in tale comunità ovvero se è già dentro, opera una scelta, restare ed  accettare tali regole oppure allontanarsi se il rispetto di tali regole offende  e mortifica la propria libertà.
 Vi  è un aspetto, però, che rende inquietante questi nuovi dogmi. La loro  enunciazione è accompagnata da un vero e proprio incitamento alla  disubbidienza. L’autorità che li ha emanati non si è limitato ad imporle agli  appartenenti alla comunità, ha anche enunciato il principio che il loro  rispetto deve essere imposto nei confronti di chiunque, appartengano o meno  alla comunità che li ha fatti propri. Ci si giustifica pretendendo che tali  principi siano dettati a difesa dei valori e dell’inviolabilità della vita  umana che deve essere difesa anche da una minoranza rispetto alle maggioranze.  E’ cronaca di qualche tempo fa il rifiuto di alcuni farmacisti cattolici di  vendere i profilattici. Siamo già all’uso della forza contro il diritto. Non si  capisce, poi, perchè il rifiuto riguardi solo i profilattici e non anche gli  altri rimedi contraccettivi quali la pillola, la spirale, etc.
 Cerchiamo  adesso di trarre le conclusioni da quanto fin quì esposto.
 Non  vi è dubbio che qualsiasi comunità ha il diritto ed il dovere di lottare per la  difesa dei principi peculiari della stessa comunità. Non vi è dubbio che la  stessa comunità ha il diritto ed il dovere di prevedere sanzioni per coloro,  fra i propri membri, che non rispettino le regole imposte dalla stessa  comunità. Nessuna comunità, però, può porsi contro le leggi dello stato cui  appartiene ed incitare i propri adepti alla disobbedienza. Questa è una regola  fondamentale per la difesa della sicurezza sociale che non può essere  assolutamente derogata senza provocare disordini e, nei casi più gravi,  conflitti. Qualsiasi giustificazione, anche di ordine morale, non serve a  derogare tale regola. Ciascuno di noi ha il diritto di far trionfare il primato  della propria morale; nessuno di noi ha il diritto di imporre la propria morale  con la forza. La morale, del resto, è un concetto relativo. Anche coloro che  pretendono che essa abbia valore assoluto hanno dovuto constatare, nel corso  dei secoli, l’infondatezza di tale convincimento. La Chiesa Cattolica, fino a  qualche tempo addietro, parlava di morale universale come morale divina, oggi  parla di morale naturale. E’ un bel passo avanti. Se, però, si cerca di  approfondire il concetto cattolico di morale naturale si scopre che esso è il  derivato dell’interpretazione delle sacre scritture; in sostanza gli si è  cambiato il nome ma la sostanza è rimasta quella di sempre. E’ anche questo un  problema molto interessante e spero si possa fare una conversazione in  proposito in futuro.
 Quale  conclusione trarre? I vecchi dogmi, le vecchie eresie non riguardavano la  nostra Istituzione in quanto tale; riguardavano, eventualmente, i singoli  aderenti che, come ben sappiamo, possono appartenere e spesso appartengono alla  confessione cattolica. Questi nostri Fratelli, posti di fronte al dogma ed alla  conseguente eresia potevano scegliere in base alla loro coscienza e continuare  ad appartenere alla nostra Istituzione certi di trovare nell’Istituzione il  rispetto della loro convinzione così come loro stessi rispettano le convinzioni  degli altri Fratelli diverse dalle loro. Finchè, da parte della Chiesa  Cattolica si chiedeva loro solo di osservare i precetti impartiti dall’autorità  ecclesiastica e di agire, nel rispetto delle leggi dello stato, affinchè tali  precetti potessero trovare applicazione universale cercando di promuovere o far  promuovere regole conformi a tali precetti, ciò era compatibile con  l’appartenenza all’Istituzione. Oggi però, se la Chiesa Cattolica chiede loro  di applicare il precetto anche con la disubbidienza alle leggi dello Stato e  loro, per non incorrere nella sanzione, obbediscono a tali istruzioni, si  mettono contro la nostra Istituzione. Le nostre costituzioni ci impongono, e  noi siamo stati sempre in linea con tale precetto, di non disubbidire alle  leggi dello Stato che ci accoglie. Non possiamo derogare a tale regola  quand’anche fossimo convinti che, a differenza di ciò che accadrebbe in altre  circostanze in cui la disubbidienza alle leggi dello Stato da parte di nostri  aderenti verrebbe immediatamente stigmatizzata e perseguita come complotto  della Istituzione contro lo Stato, e ciò è già avvenuto altre volte, in questo  caso difficilmente verrebbe rilevata. La nostra Istituzione non può permettersi  di derogare alle sue regole, ne andrebbe della sua stessa sopravvivenza.
 Ed  allora? Si impone a noi Massoni un doppio dovere. Il dovere di esaminare con la  massima attenzione i nuovi dogmi che la Chiesa Cattolica tende ad imporre  all’umanità prendendo anche posizioni precise al fine di evitare che il  diffondersi di tali precetti attraverso il veicolo del dogma possa trasformare  la nostra società in un campo di battaglia dove integralisti cattolici, con le  armi della paura e dello sfruttamento della ignoranza, tentino di imporre il  perdurare di un potere temporale anacronistico e oltremodo pericoloso che un  già avviato processo di secolarizzazione ha quasi del tutto annullato o,  quantomeno, reso meno efficace.
 Dall’altro  lato abbiamo il dovere di vegliare sempre più affinchè fra le nostre file non  si infiltrino rappresentanti di quell’integralismo cattolico al solo fine di  rendere meno efficace se non addirittura annullare la nostra opera di  salvaguardia della libertà degli uomini da qualsiasi interferenza.
 Mano  alle spade, Fratelli miei, il momento è difficile. Ne abbiamo avuto le prime  avvisaglie ma sono certo che ancora il peggio deve venire. Saremo combattuti  con tutti i mezzi, leciti ed illeciti. Coloro che ci combattono conoscono bene  l’arte della guerra. La loro strategia è molto efficace. Le loro armi vengono  spesso occultate tra gli strumenti dello Stato, spacciate come mezzi di difesa  della pace e dell’ordine sociale. Chi ci combatte non lo fa mai in prima  persona. Manda avanti gli ignoranti o i corrotti ripagandoli gli uni con la  promessa di un premio che riceveranno nell’altra vita gli altri con la  possibilità di assicurarsi un pezzo di potere.
 Sono  già riusciti a seminare tra le nostre fila incertezza e, a volte, sgomento.  Cerchiamo di avvicinare quei Fratelli che mostrano questi segni di debolezza.  Facciamo sentire loro la forza della Nostra Istituzione. Infondiamo in loro il  coraggio necessario per affrontare una simile contingenza. Stringiamoci sempre  più fra di noi, dentro e fuori i nostri Templi. Tutti insieme, compatti,  troveremo la forza ed il coraggio di combattere contro chiunque tenti di  ostacolare la nostra opera cercando di disgregarci prima per annientarci poi.
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